Solitamente investitori e risparmiatori si prodigano nella ricerca di dati e approfondimenti relativi allo stato attuale e prospettico dell’economia, forti dell’assoluta convinzione che queste informazioni siano utili per prevedere il futuro andamento dei propri investimenti. Ma è proprio così? Crescita del PIL e azioni vanno sempre nella stessa direzione e l’andamento dell’economia funge da apripista per i mercati finanziari? O è vero piuttosto il contrario?
Come spesso accade, la realtà è molto più complessa e sfaccettata di così. Grazie ai numerosi dati raccolti e agli studi a cui possiamo attingere per farci un quadro di come siano andate in passato le cose, scopriamo subito che negli ultimi decenni le due variabili si sono mosse sia all’unisono, sia in senso opposto, come evidenziato dal primo grafico1, che copre un arco temporale di quarant’anni con dati compresi tra il 1981 e il primo semestre 2021. Sull’asse delle ascisse viene indicato il tasso di crescita reale dell’economia (ovvero quello al netto dell’inflazione), mentre in ordinata è posto il rendimento reale dell’indice azionario per eccellenza, lo SP500.
Si nota immediatamente che il quadrante maggiormente popolato è quello in alto a destra, in cui gli anni sono indicati con i punti rossi e nel quale sia crescita sia rendimento azionario in termini reali sono risultati positivi. Il secondo quadrante in ordine di popolosità è quello in basso a destra che evidenzia gli anni in cui, nonostante una crescita reale positiva, i rendimenti azionari reali sono invece risultati negativi o addirittura molto negativi, come nel 2002, in cui il listino azionario perse circa il 25%. Passando al quadrante successivo, quello in basso a sinistra, possiamo notare che è presente un solo anno appartenente a questa casistica, il 2008, alla fine del quale il ritorno azionario reale fu drammatico e lambì il -40% a fronte di una crescita reale solo leggermente negativa, grazie anche alla caduta del tasso di inflazione. L’ultimo quadrante, quello in alto a sinistra rivela annate decisamente curiose, ovvero quelle in cui, nonostante ci sia stata crescita negativa – e tra questi vi sono anni recentissimi come il 2009 e il 2020 – i rendimenti reali del listino SP500 sono stati positivi, a tratti decisamente brillanti, nello specifico rispettivamente superiori al 20% e superiori al 15%.
Uscendo dagli Stati Uniti e allargando lo sguardo ad altri paesi e ad altri periodi, ritroviamo questa interessante tabella2 in cui si può di nuovo notare come le due variabili non raramente si siano mosse in senso diametralmente opposto e con un ordine di grandezza decisamente ampio.
Con un riquadro rosso abbiamo evidenziato alcuni casi particolarmente curiosi quali quello del Regno Unito (UK), nel biennio 1974 e 1975, quello della Finlandia nel 1999, spiegabile con la bolla internet e l’enorme capitalizzazione raggiunta da Nokia prima del successivo crollo, e quello del Belgio 2008, rappresentativo e simile in realtà a molte altre economie europee e mondiali, dopo il drammatico epilogo del caso Lehmann Brothers e la crisi finanziaria che ne seguì.
A vedere questi numeri verrebbe quasi da pensare che non vi sia alcuna relazione tra le due variabili, o per lo meno che non vi sia una relazione stabile. Per questo occorre fare alcune riflessioni e approfondimenti che ci aiutino ad avere maggior contezza del quadro generale.
Innanzitutto è importante sottolineare che l’economia reale e il mercato azionario non sono la stessa cosa. Mentre la prima è composta da investimenti, occupazione, consumi, produzione, famiglie, imprese, ecc., il secondo ne costituisce solo una piccola parte, essendo sostanzialmente legato al tasso di crescita degli utili di un numero limitato o molto limitato di imprese quotate. Ad esempio negli Stati Uniti, il paese con la maggiore capitalizzazione di borsa al mondo, le aziende quotate sono circa 4.100 (di cui le più grandi 500 sono inserite nello SP500), a fronte di un totale di circa 30 milioni di aziende americane esistenti, secondo le ultime stime ufficiali. In Italia addirittura le aziende quotate sono solo 400 e anche qui a fronte di milioni di piccole, medie e mono-imprese. Ciò che accade dunque sul mercato azionario è poco rappresentativo dell’economia nel suo complesso e ne rappresenta solo la parte più in vista, un po’ come una piccola vetrina, a fronte di negozio e un magazzino molto più ampio, fornito e variegato.
È importante sottolineare inoltre che mentre la crescita, sintetizzata dalla misurazione del PIL, è un dato che guarda necessariamente al passato perché misura dati certi relativi ai mesi/trimestri precedenti, il listino azionario si muove sul futuro e in particolare sulle aspettative di ciò che si ipotizza potrà accadere.
Vediamo ogni giorno il mercato muoversi in modo veloce, reagendo quasi istantaneamente a eventi e notizie quali attentati, pandemie, aggressioni militari ma anche pubblicazioni di utili o perdite aziendali, rialzi o riduzioni dei tassi di interesse, crisi di governo, dimissioni di premier, scandali e notizie di inchieste o di corruzione. Le aspettative, in particolare, ovvero ciò che gli investitori nel loro complesso ipotizzano possa accadere, giocano un ruolo molto importante nella relazione tra economia e listini, ruolo che spesso porta i mercati ad anticipare ciò che verrà poi evidenziato nell’economia. Ad esempio, quando le banche centrali danno il via a politiche monetarie espansive, gli operatori di mercato e gli investitori sanno che un costo del denaro in calo porterà grandi benefici alle aziende indebitate, nonché maggiori opportunità di investimento alle imprese che partono con nuovi progetti, con evidenti impatti positivi a livello economico. Impatti positivi che saranno però misurati ed evidenti solo mesi e mesi dopo.
Riportiamo ora un grafico3 che evidenzia una plausibile relazione tra mercato azionario ed economia reale, mostrando come il mercato tenda ad anticipare i punti di svolta del ciclo economico proprio muovendosi in previsione dello scenario futuro maggiormente condiviso dalla platea degli investitori.
Pensiamo ad esempio alla situazione attuale, nella quale si dibatte da mesi su una possibile recessione economica determinata principalmente dalla significativa stretta monetaria che le banche centrali stanno portando avanti dalla scorsa primavera, che ha pesato su quasi tutti i listini mondiali, inducendoli a realizzare perdite a doppia cifra. In realtà nessuna recessione si è al momento verificata – forse si tratterà solo di un rallentamento – ma i mercati ormai si sono già mossi e anzi guardano di nuovo al futuro in attesa della fine dei rialzi e di nuovi possibili allentamenti dei tassi.
Sono talmente tanti i fattori che entrano in gioco nella complessità del quadro economico, che a volte le aspettative vengono completamente vanificate. Non raramente infatti fattori esogeni improvvisi possono spazzare via anche il pessimismo più nero, come accadde ad esempio nel luglio del 2012: il celeberrimo discorso del “whatever it takes” del governatore della BCE Mario Draghi diede al via a uno dei rialzi pluriennali più consistenti della storia. E a quel punto che si fa? Come si comporta il risparmiatore/investitore/contraente che per timori di crisi era uscito dal mercato se il contesto generale torna ottimista? Ricompra?
Mettendosi nei panni del contraente o dell’investitore il suggerimento più valido resta sempre quello di sottrarsi al gioco delle ipotesi sugli scenari economici future e sulle previsioni a breve/medio termine, che tra l’altro vanno per la maggiore soprattutto in questo periodo dell’anno. È saggio invece concentrarsi su un concetto chiave, ovvero che la pianificazione finanziaria ed assicurativa è un processo di ampio respiro che va modellato sul personale profilo di rischio per essere in grado di offrire un sostegno finanziario affidabile nel tempo.
1. Nostra elaborazione su dati Visualcapitalist
2. Fonte: Economicsobservatory.com
3. Fonte: Rbcgam.com