L’entrata in vigore, il 2 agosto 2022, del Regolamento delegato (UE) 2021/1257 in materia di sostenibilità con riferimento alla distribuzione dei prodotti d’investimento (IBIPs) introduce la necessità di intercettare le preferenze di sostenibilità del Contraente nelle sue scelte d’investimento in prodotti finanziari.
Attraverso questa iniziativa, l’Unione Europea porta avanti il tentativo di rendere la finanza più sostenibile e di trasformare l’acronimo ESG in un evento concreto. Il significato di ESG indica infatti tre ambiti di azione: Environmental, Social e Governance. In italiano potremmo tradurlo nei tre aspetti ambientali, sociali e di governo dell’impresa. In buona sostanza ci si chiede se sia importante o meno privilegiare gli Investimenti Socialmente Responsabili (SRI) e come poter fare a riconoscerli.
Storicamente esisteva già un criterio applicato ai mercati finanziari, che prevedeva l’esclusione dall’universo investibile di tre settori: il tabacco, l’alcol e il gioco d’azzardo. Gli strumenti finanziari che avessero voluto fregiarsi dell’acronimo SRI avrebbero dovuto quindi escludere dal proprio portafoglio le aziende appartenenti a questi tre settori sia per l’investimento azionario sia per quello obbligazionario.
Da questa prima idea, già di per sé importante, si è progressivamente cercato di portare un approccio sempre più etico nel mondo della finanza. Siamo tutti consapevoli dell’importanza delle tematiche ambientali per il nostro futuro, ma la difficoltà risiede nell’inserire questa logica nella selezione degli investimenti. Inoltre, come abbiamo detto, l’ambiente e il cambiamento climatico rappresentano solo il primo degli aspetti con cui è stata ridefinita la sostenibilità, ovvero la lettera “E” dell’acronimo ESG. Il passaggio però richiede di allargare il criterio di selezione anche ad aspetti più qualitativi, legati a tutte le forme con cui l’uomo si realizza nell’ambiente lavorativo e nella società.
Promuovere un’idea di investimento che vada oltre le logiche tradizionali significa prima di tutto rendere consapevole l’investitore circa l’importanza della scelta o meno di investire in aziende o prodotti attenti alle tematiche sociali e ambientali. Significa poi creare valore di lungo termine all’interno di un processo di crescita del mondo sostenibile. Da un lato, quindi, sapere che le proprie scelte d’investimento impattano sulle questioni ambientali e sul benessere delle persone, dall’altro sottolineare che l’investitore-contraente è chiamato ad esprimere una propria preferenza e di fatto ad assumersi le proprie responsabilità. Si tratta di affiancare al classico concetto di rischio/rendimento un nuovo concetto, quello del “rischio ambientale”.
La famosa lettera “E” dunque si sostanzierà nell’individuazione concreta delle aziende che mirano a ridurre il loro impatto sull’ambiente e sul territorio. In merito a questo, le variabili rilevanti sono: il contenimento/azzeramento delle emissioni di CO2, la sicurezza alimentare, il cambiamento climatico e la riduzione dell’utilizzo delle risorse naturali.
Oltre alla salvaguardia del pianeta, il concetto è stato esteso anche al lato sociale della vita d’impresa, la lettera “S”, che tocca temi sfidanti per la nostra società. In questo caso si tratta di scegliere aziende che pongono al centro l’attenzione alle condizioni e alla sicurezza sul posto di lavoro, la parità di genere, il rispetto dei diritti umani e la lotta a ogni forma di discriminazione.
L’ultima lettera, la “G”, invece riguarda il governo dell’impresa e la propria responsabilità. Alcuni esempi di variabili sui quali porre l’accento sono i seguenti: l’imparzialità e l’etica dei membri del CdA e del management, la trasparenza, le logiche con cui vengono determinati i compensi, l’assetto proprietario, la lotta alla corruzione.
L’obiettivo principale è quello di tradurre in maniera semplice e apprezzabile dal risparmiatore l’identificazione dell’azienda o del prodotto finanziario sostenibile, attraverso l’adozione di un linguaggio comune che consenta facilmente di identificare realmente il livello di sostenibilità.
Con questa azione si vogliono raggiungere due grandi obiettivi: aiutare gli investitori ad identificare i prodotti realmente green e ridurre contemporaneamente il fenomeno del greenwashing, ovvero la presentazione di prodotti fintamente green per i quali non è riscontrabile un effettivo impatto sulla sostenibilità. Come sempre accade nei momenti in cui si scrive una nuova storia, infatti, ci sono anche attori che provano a raccogliere vantaggi immeritati.
La piena adozione dei criteri ESG ha un primo impatto ovviamente sulle imprese che debbono adeguare e rinnovare i loro processi in termini di product governance e di adeguatezza, nonché sui criteri di profilazione della clientela. Un secondo impatto è nella relazione di consulenza, in quanto l’investitore-contraente è chiamato ad esprimere una preferenza in tema ESG in rapporto ai propri investimenti e questa preferenza va tradotta sui prodotti a disposizione.
L’introduzione del nuovo regolamento disciplina tre tipologie di prodotti finanziari a seconda degli obiettivi di sostenibilità:
- l’articolo 6 definisce i prodotti non focalizzati sulla sostenibilità: per questi strumenti non si possono utilizzare i termini “ESG” o “sostenibilità”, né li si può promuovere come sostenibili;
- l’articolo 8 definisce i cosiddetti prodotti “light green”, ovvero strumenti finanziari che promuovono caratteristiche sociali e/o ambientali che includono in parte anche investimenti sostenibili, ma collocano denaro per lo più in attività di altro tipo. Questi prodotti devono rispettare i requisiti di sostenibilità per lo meno ambientale e di buona governance, con il rafforzativo che gli investimenti non sostenibili in portafoglio non devono comunque arrecare danno agli obiettivi ESG;
- l’articolo 9 definisce i prodotti pienamente sostenibili, chiamati anche “dark green”: prodotti che hanno come obiettivo principale gli investimenti sostenibili e devono rispettare tutti e tre i requisiti della definizione.
Questo processo non ha lasciato indifferente l’industria del risparmio gestito, che ha dovuto strutturarsi stante l’importanza di definire benchmark e parametri oggettivi di riferimento che a loro volta esprimessero un rating di sostenibilità. Il passaggio non è solo formale ma anzi sostanziale, perché va a definire un nuovo perimetro di azione e una misurazione concreta del raggiungimento degli obiettivi d’investimento in termini di sostenibilità.
Tra i provider più noti vi è MSCI, azienda protagonista della creazione ed alimentazione di molti dei benchmark che vengono utilizzati sul mercato, che a proposito della complessità e del percorso con cui sono stati definiti i nuovi indici ESG ha pubblicato questo diagramma1 esplicativo dei livelli di analisi della metodologia utilizzata:
Allianz Darta Saving aveva già inserito all’interno della polizza unit linked Easy Selection una propria proposta ESG, perciò non si è trovata impreparata davanti alla nuova normativa. È stata creata una pagina ad hoc dedicata agli investimenti sostenibili e cioè a tutti i fondi interni assicurativi che rispettano i requisiti proposti dall’articolo 8 o dall’articolo 9.
I fondi interni assicurativi in linea con l’articolo 8 sono ben 84, e fanno riferimento a 31 case di gestione. Quelli che rispecchiano i dettami dell’art. 9 sono invece 7, e ognuno fa riferimento ad una casa di gestione diversa. In totale si tratta quindi di ben 91 fondi assicurativi che possono fregiarsi dell’acronimo ESG nella piattaforma Easy Selection: una proposta ampia e diversificata che potrà soddisfare qualsiasi esigenza consulenziale e d’investimento.
1. Fonte: studio “Sostenibilità: una valutazione su misura per le PMI”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Equita.eu