Una pensione integrativa pan-europea, accessibile a tutti e trasferibile in modo semplice all’interno degli Stati Membri: dovrebbero essere approvati definitivamente ad aprile 2019 ed entrare in vigore nel 2021 i PEPP, Pan-European Personal Pension, prodotti pensionistici creati per sviluppare in Europa un mercato unico delle forme di terzo pilastro della previdenza.
Il condizionale è d’obbligo perché l’iter non è ancora concluso: attualmente è in corso la discussione tra Parlamento Europeo, Commissione europea e Consiglio, e poi il testo dovrà passare al vaglio del Parlamento Europeo, che dovrà votare in seduta plenaria.
Pensati come strumento per rispondere al problema della sostenibilità delle pensioni pubbliche, i PEPP sono il primo tentativo di costruire un Welfare State comune all’interno dell’Unione. Un progetto ambizioso, non privo di ostacoli, visto che tutto ciò che riguarda il Welfare è competenza esclusiva degli Stati Membri. Proprio dal modo con cui si supereranno le diffidenze degli Stati dipenderà il successo o l’insuccesso dei PEPP.
Perché l’Europa si interessa di pensioni?
Nonostante il Welfare non sia di sua competenza, l’Europa non ha potuto ignorare un tema che si prospetta come dominante per gli anni a venire, ovvero il rischio di non sostenibilità dei sistemi previdenziali nazionali e la carenza di copertura di pensioni integrative tra i cittadini europei.
Sul futuro del vecchio continente pesano le dinamiche demografiche, che vedono un progressivo invecchiamento della popolazione non controbilanciato da un adeguato tasso di natalità. Secondo il Demographic Outlook 20171, dagli anni ‘60 ad oggi sia gli uomini che le donne hanno visto una crescita dell’aspettativa di vita di circa 10 anni. Si stima che nei 28 Paesi dell’Unione gli over 80 siano destinati a raddoppiare entro il 2050, raggiungendo l’11,4% della popolazione. Per contro, però, si registra una costante diminuzione nel numero delle nascite. Fino alla metà degli anni ‘70 nascevano in Europa circa due bambini per ogni donna, mentre nel 2016 il tasso di fertilità del continente era sceso a 1,58 figli per donna.
Il combinato disposto di questi due fattori impatta inevitabilmente sul Welfare State, in particolare sui sistemi previdenziali, che, in tutti gli Stati membri, sono a ripartizione, ovvero basati sul principio per cui le pensioni sono pagate dai contributi versati dai lavoratori. Ovviamente, se il numero di pensionati aumenta e quello dei lavoratori diminuisce, il sistema non è più sostenibile. E i numeri dicono che stiamo andando in questa direzione. Nel 2006, per ogni pensionato (da 65 anni in su) c’erano 4 persone in età da lavoro (tra i 15 ed i 64 anni); nel 2050 questa proporzione scenderà a 2 lavoratori per pensionato e, se i trend non cambieranno, potrebbe anche peggiorare.
Gli Stati sono già intervenuti con aggiustamenti per rendere sostenibile il sistema previdenziale. Ciò vuol dire aumentare l’età pensionabile e, soprattutto, ridurre gli importi delle pensioni pubbliche. A fronte di questa riduzione, ancora pochi sono coperti da forme di previdenza integrativa. Secondo il Pension Adequacy Report 2018, “la copertura delle pensioni integrative resta insignificante in circa metà degli Stati Membri, soprattutto quelli che dovranno affrontare le più importanti sfide di adeguamento nel lungo periodo”2. La stima è che il 27% dei cittadini europei sia iscritto ad una forma di previdenza complementare, ma con forti disparità tra i Paesi. Guardando, infatti, al valore degli asset investiti in fondi pensione, la forbice va da oltre il doppio del Pil in Danimarca (dove è in vigore un sistema misto, pubblico e privato), al 6,8% della Germania, passando per il 9,4% dell’Italia.
Il rischio, insomma, è che fra pochi decenni il continente sia popolato da anziani sempre più indigenti.
C’è poi un altro problema che emergerà nei prossimi anni. Sta, infatti, crescendo la generazione dei globetrotter, ovvero delle persone che si spostano da uno Stato all’altro per lavoro. La circolazione delle persone, del resto, è un obiettivo dell’Unione Europea, che la facilita ad esempio con i programmi di scambio universitari. Tuttavia, la rigidità dei sistemi previdenziali nazionali rende complesso il processo di accumulo dei contributi versati, col rischio che la pensione finale del lavoratore sia la somma di più pensioni, erogate da Paesi diversi con regole diverse.
Da qui, la decisione dell’Unione Europea di intervenire per incrementare rapidamente la percentuale di persone dotate di pensione integrativa, con i PEPP.
Cosa sono e come funzioneranno i Pan-European Personal Pension
A differenza di altri ambiti, come quello finanziario e assicurativo, in cui l’Europa è intervenuta per armonizzare i regimi nazionali e definire un quadro di regole uguali per tutti, la previdenza è competenza degli Stati Membri. Sarebbe del resto difficile pensare ad un Welfare comunitario in assenza di un bilancio ed un fisco comuni. Stesso dicasi per la previdenza complementare (solo i fondi pensione sono armonizzati nella direttiva IORP II). Per questo la Commissione europea, il 29 giugno 2017, ha presentato il regolamento per istituire il primo prodotto previdenziale pan-europeo, che non sostituirà quanto già esiste.
Il PEPP è un nuovo strumento, da costruire sulla base di standard comuni, che si affiancherà alle soluzioni già esistenti. Tra le caratteristiche principali ci sono i costi bassi, visto che l’obiettivo dell’Europa è di far accedere alla previdenza integrativa un pubblico che rischierebbe di essere tagliato fuori, composto da studenti, lavoratori con contratti anche precari e disoccupati. I costi bassi, nell’idea dei proponenti, dovrebbero avere anche la conseguenza di incentivare la concorrenza nell’ambito della previdenza integrativa, riducendo i costi per gli altri strumenti.
Tutti potranno volontariamente scegliere di aderire ad un PEPP per costruire una pensione integrativa valida in tutti gli Stati dell’Unione, per integrare l’assegno pubblico.
I fondi pensione europei potranno essere offerti da banche, assicurazioni, società di gestione, e distribuiti dagli intermediari che potranno collocarli in tutti i Paesi dell’Unione anche tramite piattaforme web.
L’idea della Commissione europea è che ogni PEPP possa essere strutturato con un massimo di cinque opzioni di investimento, concepite sulla base di comprovate tecniche di attenuazione del rischio che garantiscano una sufficiente tutela degli iscritti. Dovrà essere sempre prevista una opzione standard (di default), caratterizzata da un profilo di rischio prudente. Il contraente potrà scegliere l’opzione di investimento più in linea con il suo profilo, modificabile nel tempo. Starà a lui anche decidere le modalità della fase di decumulo, ovvero se preferirà ottenere il montante accumulato come capitale, rendita o rimborso programmato del montante stesso. Per chi sceglie l’opzione di default, però, potrebbe essere richiesto che almeno il 35% del montante venga obbligatoriamente convertito in rendita.
Alcune caratteristiche importanti del PEPP, ad esempio sull’età pensionabile o possibilità di anticipare il trattamento, saranno decise dai singoli Stati.
Altro tratto molto importante è la cosiddetta portabilità, che risolverebbe il problema dei lavoratori ad alta mobilità, garantendo che ogni iscritto possa mantenere una posizione previdenziale unitaria, anche se dovesse decidere di andare a risiedere in altri Paesi dell’Unione. Ad esempio, se un iscritto italiano si trasferisse in Francia, il suo gestore dovrebbe attivare automaticamente un comparto francese del suo PEPP, su cui sarebbero applicate le regole fiscali e contributive del nuovo Paese di residenza.
Il nodo degli incentivi fiscali
Secondo una simulazione condotta da Ernst & Young per la Commissione europea, l’introduzione dei PEPP potrebbe liberare risorse per la previdenza integrativa pari a circa 2.100 miliardi entro il 2030, a fronte dei circa 700 miliardi attuali.
Tuttavia, il successo dei PEPP dipenderà da quanto gli Stati Membri vorranno credere in questo nuovo strumento. Come dicevamo, infatti, la previdenza è di loro competenza, tanto che i PEPP saranno istituiti attraverso un regolamento europeo, che è immediatamente applicabile in tutta l’Unione senza che ogni Stato debba recepire la normativa, come sarebbe accaduto se invece si fosse usato lo strumento della direttiva.
Il problema è che l’appetibilità dei PEPP è legata agli incentivi fiscali che saranno previsti, su cui l’Europa di fatto non si è potuta esprimere.
In base ai trattati europei in materia fiscale, infatti, per introdurre un regime ad hoc o estendere i benefici fiscali che ciascun Paese destina alla previdenza complementare, il legislatore europeo avrebbe dovuto ottenere il consenso unanime di tutti i membri dell’Unione.
Ritenendo che non ci fossero le condizioni favorevoli a ciò, la Commissione europea – e in seguito anche Consiglio e Parlamento hanno confermato questa direzione – ha semplicemente raccomandato che gli Stati membri riconoscano ai PEPP i benefici fiscali già previsti per le forme pensionistiche complementari esistenti. Tale auspicio non è vincolate e ciascun Paese potrà decidere se dare un seguito o meno.
C’è dunque grande attesa di scoprire come saranno declinati i nuovi PEPP a livello non solo europeo, ma soprattutto nei singoli Stati, per capire se potranno rispondere realmente all’esigenza di costruire una pensione di scorta, accessibile a tutti e pan-europea.
1. http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2017/614646/EPRS_IDA(2017)614646_EN.pdf
2. https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=it&pubId=8084&furtherPubs=yes