Continuare ad investire in comunicazione, pur sapendo che le condizioni di mercato non sono ottimali, o congelare gli investimenti, in attesa che passi la tempesta? Questo il bivio davanti al quale si è trovato il mondo imprenditoriale di ogni settore, compreso quello assicurativo, con l’irrompere della pandemia e la conseguente contrazione di consumi e produzione.
In una congiuntura dominata dall’incertezza, infatti, per un’azienda può essere istintivo pensare che sia meglio limitare gli investimenti a ciò che riguarda più strettamente il mantenimento della produzione, riducendo così le spese. E i dati, in effetti, confermano che, dall’inizio della pandemia, gli investimenti in pubblicità sono complessivamente calati, con qualche eccezione per la comunicazione sul web.
Nielsen1, osservatorio autorevole che fornisce una panoramica completa e affidabile sui consumatori e sui mercati, ha rilevato che sul mercato pubblicitario italiano, nel periodo gennaio-settembre 2020 si registra un calo del 15,9% rispetto all’analogo periodo 2019. E se si esclude dalla raccolta web la stima su search, social, annunci sponsorizzati e “Over The Top”, l’andamento nei primi nove mesi scende a -20,3%.
Ma ridurre la comunicazione, o sospenderla del tutto, è davvero la strategia più efficiente? Nonostante i tratti peculiari dell’emergenza da Covid-19, per provare a rispondere al quesito è utile analizzare il comportamento di alcune aziende nelle grandi crisi dell’ultimo secolo.
Cosa ci insegna la storia: investire premia, anche in tempo di crisi
Esemplificativa al riguardo è la case history di Kellogg’s2, nota azienda di cereali. La sua vicenda ci riporta al 1929 quando, durante la Grande Depressione americana, l’azienda decise di andare in controtendenza rispetto ai principali concorrenti e raddoppiò i suoi investimenti dedicati al marketing mentre gli altri sceglievano il silenzio. Risultato: la strategia fruttò a Kellogg’s un aumento del 30% dei ricavi e, soprattutto, la posizione di leadership nel mercato per lungo tempo.
Diversi studi hanno cercato di analizzare i risultati delle aziende che investono in pubblicità in periodi di crisi, confrontandoli con quelli di chi non investe, per cercare di capire quale scelta sia la più efficiente nel tempo.
Ad esempio, McGraw-Hill Research ha analizzato la strategia di più di 600 aziende B2B durante la recessione che colpì gli Stati Uniti nei primi anni Ottanta. La ricerca ha evidenziato una crescita del business del 256% per chi ha continuato a comunicare tra il 1981 e il 1982 rispetto a chi ha smesso di farlo3.
In tempi più recenti, lo studio “Marketing in a downturn: lessons from the past”4 pubblicato di Peter Field riporta l’analisi di 50 case studies legati alla crisi del 2008-2009. Anche in questo caso, emerge che i brand che hanno ridotto la propria quota di comunicazione all’interno della categoria, hanno poi perso quote di mercato.
Lunghi periodo di silenzio o di riduzione del budget medio per la comunicazione possono, dunque, danneggiare il brand5. I motivi di questa correlazione sono diversi. Comunicare quando gli altri non lo fanno, ad esempio, spiega almeno in parte il successo della scelta di Kellogg’s. C’è poi una questione di aspettative: i consumatori si aspettano che il brand sia presente, anche nei momenti di difficoltà, come parte integrante della propria quotidianità.
Lo evidenzia molto bene la ricerca, condotta da 4A’s durante l’epidemia di Covid di marzo6 su un campione di 1000 consumatori, per capire cosa pensassero della comunicazione dei brand. In quel caso, il 43% ha detto di essere rassicurato dalla presenza, sui diversi canali, dei brand che conosce e di cui si fida. Il 40% si è detto inoltre interessato a sapere quello che i brand stavano facendo in risposta alla pandemia. Solo il 15% dei consumatori intervistati ha detto di non voler saper nulla.
Percentuali molto simili emergono anche dall’analoga ricerca di Global Web Index7, che ha rilevato che il 52% dei clienti approva l’attività di comunicazione dei brand durante l’epidemia, contro un 18% che disapprova.
Covid-19: una crisi come le altre?
Da questa panoramica emerge come, in tempi di crisi, la comunicazione con i clienti è importante per mantenere ed implementare la forza ed il valore di un brand. Tuttavia, sarebbe riduttivo applicare sic et simpliciter paradigmi che arrivano da crisi economiche del passato, molto diverse da quella che stiamo conoscendo oggi con Covid 19.
Da quella del 1929 fino all’ultima del 2008-2012, le grandi crisi dell’ultimo secolo sono state sostanzialmente economiche e finanziarie – capitolo a parte, naturalmente, è la Guerra Mondiale. La crisi da Covid-19, invece, riguarda l’economia come riflesso indiretto di un’emergenza che è nata essenzialmente in ambito sanitario.
La storia dirà se Covid-19 è il cigno nero che stravolge tutto. Di certo, si può dire che la crisi è molto complessa, perché coinvolge le persone nella loro dimensione più umana, mettendole di fronte alla loro vulnerabilità in un momento storico in cui la medicina, la tecnologia e la scienza sembravano poter annullare l’incertezza. Allo stesso tempo, questa crisi accende la consapevolezza che ciascuno ha una parte di responsabilità in quello che può accadere intorno a lui e che ogni azione – compresa la più semplice scelta di acquisto – ha un impatto sul territorio, sull’ambiente, sulla società.
In questo quadro va quindi contestualizzata anche la decisione delle aziende di continuare a comunicare. Da un punto di vista prettamente economico, la storia ci indica che è importante esserci. L’emergenza Covid-19 aggiunge che a far la differenza sono i contenuti che si comunicano e il modo in cui si sceglie di farlo.
Già prima di Covid-19, il mondo del marketing registrava, a livello globale, un’attitudine dei consumatori sempre più attenta al “purpose” di un brand. Lo rilevava nel 2018, ad esempio, la ricerca di Accenture Strategy, secondo cui “su quasi 30.000 consumatori in 35 nazioni, il 62% dei clienti si aspetta che le aziende prendano una posizione su temi attuali e importanti come sostenibilità, trasparenza e rapporti equi con i dipendenti. Le aziende che non si allineano con gli ideali dei clienti, ne pagano il prezzo”8.
Covid-19 ha accelerato questo trend, perché l’approccio ai consumi sarà sempre più guidato da valutazioni sia sull’utilità di un bene o di un servizio dal punto di vista materiale e di sicurezza emotiva, sia sull’impatto che il brand genera a livello locale o globale. Questo orienterà le scelte dei consumatori ed è su questo che ha senso focalizzare la comunicazione in tempo di crisi, purché si abbia qualcosa di concreto da dire.
Comunicare il brand: l’esempio di Allianz
Nel 2020, il Gruppo Allianz – di cui Darta Saving fa parte – non ha mai smesso di comunicare con i propri clienti, dipendenti, partner, attraverso molteplici forme e canali.
Oltre ad operare attivamente a sostegno degli operatori sanitari durante le fasi più cupe dell’emergenza, ha avviato campagne pubblicitarie che rafforzano il brand positioning e confermano la centralità degli agenti9, ha continuato a fornire report autorevoli, con fonti qualificate, per aiutare a capire i trend e le prospettive di settore, e ha portato avanti varie iniziative sul fronte della sostenibilità, comunicando con costanza e discrezione.
Questo lavoro di comunicazione, che ha radici profonde, è fondamentale nel dare valore al brand.
Non a caso, per la seconda volta consecutiva, Allianz è risultato il miglior brand assicurativo al mondo nella classifica Best Global Brands 2020 di Interbrand10. Non si parla del valore strettamente economico, anche se le performance finanziarie hanno un peso importante. La valutazione ha a che fare con la reputazione dell’azienda e con la percezione che ne hanno gli stakeholder – dai dipendenti, ai partner, ai clienti – in base all’interazione diretta, sia per la fruizione dei servizi sia per l’impatto della compagnia su ambiente e società. Si tratta un percorso che il Gruppo ha intrapreso da tempo e che, dopo Covid, sarà ancora più incisivo.
1. “Nielsen, settembre in calo per le pubblicità (-3,4%): in positivo solo il web advertising”, 9 novembre 2020, Finanza.repubblica.it
2. “The Unprecedented Stock-Market Reaction to COVID-19”, S.R. Baker, N. Bloom, S.J. Davis, K. Kost, M. Sammon, T. Viratyosin, 1 aprile 2020, Insight.kellogg.northwestern.edu
3. “Come si fa a comunicare ai tempi del Covid-19?”, 30 aprile 2020, Wired.it
4. “Peter Field’s seven lessons for advertising during a recession”, 7 aprile 2020, Ipa.co.uk
5. “Advertising during Covid-19”, April 2020, Harmelin.com
6. “Consumer Sentiment Towards Brands During COVID-19”, 20 marzo 2020, Aaaa.org
7. “Coronavirus Research | April 2020”, aprile 2020, Globalwebindex.com
8. “L’ascesa dei brand guidati dai valori”, 5 dicembre 2018, Accenture.com
9. Comunicato stampa su Allianz.it
10. Comunicato stampa su Allianz.it