Top Brand Insurance per il più alto engagement su Facebook1, primo posto per numero di citazioni sui social nella classifica dei brand assicurativi2, tra i primi 100 al mondo per valore del brand3: negli ultimi anni il Gruppo Allianz, di cui Darta Saving fa parte, ha raggiunto i vertici di classifiche internazionali qualificate, realizzate da agenzie indipendenti, che hanno analizzato diversi aspetti legati al brand.
I riconoscimenti ottenuti, lungi dall’essere un momento autocelebrativo, vogliono essere lo spunto per sottolineare come la lettura degli stessi sia da inserire in un contesto in cui la forza di un’azienda non si misura più con le sole perfomance economiche, ma anche con la brand reputation.
La brand reputation, basata sui valori che un’azienda è in grado di esprimere, orienta infatti le scelte dei consumatori. Come abbiamo già scritto in questo blog, per consolidare la propria reputazione, i concetti chiave oggi sono la responsabilità (sociale ed ambientale), la credibilità e una customer experience curata. Alla base della costruzione di una reputazione, tuttavia, c’è una condizione fondamentale: il brand deve essere conosciuto.
Una buona brand reputation dipende infatti anche dal livello di awareness, ovvero la consapevolezza diffusa tra le persone che un brand esista e sia associato a certi valori. Conoscere un brand e sapere che esprime determinati concetti, infatti, è fondamentale per il processo decisionale della persona che deve scegliere come soddisfare un bisogno: se non si conosce il brand, difficilmente verrà in mente di prenderlo in considerazione, indipendentemente dalla qualità del prodotto o dalla reputazione dell’azienda.
Brand awareness: come i pop corn al cinema
Cosa intendiamo quando parliamo di brand awareness e riconoscibilità di un marchio? Per fare un esempio molto intuitivo, pensiamo di organizzare un pomeriggio al cinema. Probabilmente, a molti verrà spontaneo associare alla visione del film l’acquisto di pop corn, anche se non si è consumatori abituali di questo alimento. La consapevolezza dell’esistenza del prodotto e la naturalezza con cui è collegato al cinema descrivono bene il meccanismo della brand awareness.
Se i pop corn fossero un brand, sarebbero collocati nel livello più elevato della cosiddetta Piramide di Aaker, lo strumento utilizzato per determinare l’awareness di un brand, elaborato dall’economista statunitense David Allen Aaker.
La base della piramide è rappresentata dal livello “unaware of a brand”, quando non c’è alcuna conoscenza o riconoscibilità del marchio. È il caso tipico in cui si trovano i nuovi brand, che non hanno avuto tempo a sufficienza per farsi conoscere.
Implementando opportune strategie, si può arrivare al “brand recognition”, quando un brand viene ricordato a seguito di sollecitazioni, ad esempio, come risposta alla domanda “conosci il marchio x?” o dopo la visione del logo o l’ascolto di un motivo musicale identificativo. Possono rientrare in questa tipologia i brand lanciati da poco sul mercato, oppure quelli radicati in un territorio o in un target molto circoscritto al di fuori del quale c’è scarsa consapevolezza.
Si parla invece di “brand recall” quando il consumatore riesce a ricondurre il brand ad una categoria di prodotti senza bisogno di stimoli esterni. Si tratta, quindi, di un buon livello di awareness. Ad esempio, è probabile che citare un’organizzazione come Unicef faccia scattare il collegamento con la protezione dell’infanzia anche nella mente di chi non ha mai avuto nulla a che fare con questa realtà.
Il livello massimo della piramide è però il “top of mind”, che si raggiunge quando il brand è il primo che viene in mente se si parla di una determinata categoria di prodotti. Questo succede, in particolare, quando il brand non è solo identificativo di un prodotto, ma anche di valori, concetti, principi di cui diventa un emblema. Per citare un esempio di brand, lo stesso meccanismo cinema-pop corn si replica quando, dovendo scegliere le bibite gassate per una festa, si pensa subito a un prodotto come Coca-Cola, “top of mind” nella categoria.
Social, partnership, tempo: cosa serve per essere “top of mind”
“Scalare” la piramide di Aaker è certamente l’obiettivo di ogni azienda, ma non si tratta di un’impresa semplice. Fondamentale è la presenza sul web, in particolare sui social, strumenti usati ormai abitualmente dalle persone per informarsi, esprimere opinioni e conoscere quelle altrui.
Questa consapevolezza si sta diffondendo tra le imprese. L’ultima rilevazione di Eurostat4 rivela che il 47% delle aziende europee è presente su almeno un social media. Obiettivo principale della presenza è proprio la brand awareness (40% dei casi), seguita dall’interazione con l’utenza (27%) e dal recruitment (23%).
Al di là del dato in sé, l’aspetto interessante è il trend di crescita. Eurostat osserva infatti che, negli ultimi anni, la consapevolezza delle potenzialità dell’uso dei social è aumentata in modo considerevole: nel 2013, infatti, solo il 22% delle aziende li usava con obiettivi di marketing (tra cui la brand awareness), il 15% per comunicare con i consumatori, il 9% per il recruitment.
Se consideriamo che, sempre nel 2013, le imprese europee sui social erano il 30% del totale, è evidente la rapida crescita della sensibilità delle aziende verso l’uso di questi canali – anche se molte potenzialità non vengono ancora sfruttate appieno.
Ma cosa vuol dire essere sui social? Non si tratta solo di essere presenti con una propria pagina, ma anche di interagire con gli utenti che parlano del brand o si rivolgono direttamente all’azienda e di creare contenuti di valore, che possano essere condivisi dagli utenti. Queste nuove piattaforme permettono infatti di intercettare il proprio pubblico target e incrementare la brand awareness tra le persone potenzialmente più interessate ai propri prodotti.
La preminenza del web non deve far dimenticare l’importanza della comunicazione offline che, in un contesto di sempre maggiore sensibilità ai temi sociali e ambientali, premia chi lavora proprio su questi fronti. Il report di Digmind, che analizza le citazioni di Allianz sul web, sottolinea che “la segmentazione delle tematiche mostra i driver chiave: le sponsorizzazioni sportive e culturali, oltre che l’offerta di prodotto”. Ciò vuol dire che la creazione di partnership con finalità sociali, in linea con i propri valori identitari, viene riconosciuta ed apprezzata dagli stakeholder.
Quanto tempo ci vuole per diventare “top of mind”? Difficile dirlo. Di sicuro, serve molta pazienza. La costruzione della brand awareness è un processo continuo, che richiede il tempo necessario a raggiungere un pubblico sempre più esigente e consolidare la posizione conquistata. E, se è vero che oggi chi deve acquistare un prodotto o un servizio valuta sempre più la reputazione dell’azienda che lo propone, è certo che la sfida della competitività globale sarà vinta da chi avrà saputo raggiungere una buona brand awareness, caratteristica imprescindibile per una buona brand reputation.
1. https://www.allianz-assistance.it/blog/allianz-global-assistance-maggior-engagement-Facebook
2. https://www.iab.it/wp-content/uploads/2017/09/Digimind-Report-Top-Insurance-Brand.pdf
3. https://brandfinance.com/images/upload/global_500_2019_locked_4.pdf
4. https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Social_media_-_statistics_on_the_use_by_enterprises?fbclid=IwAR1625f23rmDaFMZVaFgDTmJLgysrl1TIg88bUql0R9eXN0sUNhKDBWTeWU