Nel processo di consulenza patrimoniale, il punto di partenza è l’analisi delle esigenze e delle aspettative dell’interessato. Tuttavia, per prendere decisioni efficienti sull’allocazione delle risorse e sull’orizzonte temporale più adatto a raggiungere gli obiettivi prefissati, è necessario anche valutare alcune variabili che attengono al contesto generale. In quanto derivanti da dinamiche esterne, non determinate né controllabili dal singolo, queste variabili vengono definite esogene.
Analisi del contesto: dinamiche demografiche, mercato del lavoro, reti sociali
Vediamo in sintesi alcune delle variabili esogene che interessano la realtà italiana, per capire come possono impattare sui progetti di vita e sulla pianificazione patrimoniale di medio e lungo periodo.
Ci focalizzeremo, in particolare, su tre aspetti:
- le dinamiche demografiche: leggerle consente di avere un’idea della direzione in cui va il welfare state e, di conseguenza, dei possibili cambiamenti nelle tutele previste dal sistema pubblico;
- il mercato del lavoro, nelle sue virtù e nelle sue criticità: conoscerlo è utile perché può aiutare a stimare l’andamento della carriera lavorativa di una persona, e quindi prevedere la probabilità che il suo patrimonio possa mantenersi costante nel tempo;
- le reti sociali su cui l’interlocutore può contare o che potrebbero coinvolgerlo in caso di necessità: sono un aspetto interessante da considerare nella consulenza, perché possono dare origine all’esigenza di destinare il proprio patrimonio a scopi diversi rispetto a quanto previsto.
Le dinamiche demografiche
Vivere in una società che tende all’invecchiamento piuttosto che in una composta da una forza lavoro giovane può fare la differenza sulle proprie scelte di pianificazione patrimoniale.
In una realtà in cui il numero di anziani supera quello dei giovani, la spesa sociale sarà gravata dagli oneri per la previdenza e l’assistenza sociale. Se l’esborso pubblico diventa non sostenibile, si verificheranno operazioni di contenimento della spesa che si potranno tradurre in una riduzione delle prestazioni sociali. Da ciò può nascere l’esigenza di dover provvedere da soli ad incrementare il reddito nella fase della quiescenza: ciò vuol dire pensare per tempo a costruirsi una previdenza integrativa che possa garantire l’autosufficienza anche oltre l’età pensionabile.
Al contrario, vivere in una società giovane, con tassi di natalità superiori a quelli di mortalità, significa che probabilmente non ci saranno incognite nel futuro previdenziale, mentre potrebbe esserci un eccesso di domanda, rispetto all’offerta pubblica, per quello che riguarda i servizi destinati ai più giovani. Questo potrebbe portare un genitore ad investire il proprio patrimonio dando la priorità alla formazione dei figli.
Qual è la situazione in Italia? Secondo il rapporto Istat 2018, dal 2015 nel Paese è in atto una fase di declino demografico. Al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione, in calo per il terzo anno consecutivo, ammonti a 60,5 milioni di residenti, con una diminuzione accentuata soprattutto al Sud.
In un Paese dove la natalità è più bassa della mortalità, i flussi migratori possono aiutare a invertire la rotta. Tuttavia, dal 2016 anche tali flussi sono sempre più contenuti tanto che la variazione della popolazione straniera sull’anno precedente presenta livelli modesti, soprattutto se comparati con quelli degli anni 2000.
A questo va aggiunto che, grazie alla medicina e ad una maggiore attenzione alla qualità della vita, si accentua l’invecchiamento della popolazione. L’aumento della popolazione anziana e la presenza di generazioni di giovani sempre meno folte, conseguenza del continuo calo delle nascite, rendono l’Italia il secondo paese più vecchio al mondo, con una stima di 168,7 anziani ogni 100 giovani al 1° gennaio 2018.
La situazione non è destinata a migliorare, perché il calo delle nascite è strutturale: il dato è negativo da 9 anni e nel 2017, con 464.000 nascite, si è raggiunto un nuovo minimo storico. Questa riduzione è in buona parte dovuta agli effetti “strutturali”, indotti dalle modificazioni della popolazione femminile in età feconda (tra 15 e 49 anni). Le donne italiane in questa fascia di età sono sempre di meno, perché le babyboomers – nate tra la seconda metà degli anni ‘60 e la prima metà dei ‘70 – stanno ormai uscendo dalla fase riproduttiva, e le generazioni più giovani sono meno numerose.
Inoltre, le coppie rimandano la scelta di avere figli verso età più mature e questo determina lo spostamento in avanti di tutte le tappe che contraddistinguono il passaggio alla vita adulta (termine degli studi e inserimento nel mercato del lavoro, uscita dalla famiglia di origine, formazione di una unione).
Secondo lo scenario mediano delle previsioni demografiche, per effetto di tutti questi fattori, tra 20 anni lo squilibrio intergenerazionale sarà ancora più critico, con 265 anziani ogni 100 giovani.
Quando si pianifica la gestione del patrimonio, si deve dunque tener conto di questo “debito demografico” che, nel futuro, peserà sulla spesa pubblica in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza: ciò potrebbe significare che, per mantenere una stabilità economica dei conti pubblici, potrebbe essere necessario ridurre il welfare state o aumentare la fiscalità generale.
Il mercato del lavoro
La capacità di lavorare e di produrre reddito è fondamentale per poter costruire un proprio progetto di vita su basi solide. Tuttavia, la possibilità di avviare di una carriera brillante in tempi rapidi non dipende esclusivamente dalle capacità personali, ma anche dalla struttura del mercato del lavoro.
In un contesto in cui l’accesso al mondo del lavoro è agevolato, le competenze sono adeguatamente valorizzate e in caso di perdita dell’impiego è possibile trovarne un altro in tempi rapidi si può pensare di costruire progetti sulla base della propria stabilità lavorativa e reddituale.
Se invece il mercato del lavoro è ingessato, di difficile accesso per i giovani, con contratti precari e retribuzioni non adeguate alle competenze, allora nella gestione del proprio patrimonio occorre ragionare su come accantonare risorse per i periodi di difficoltà (propria o dei figli).
A che punto siamo in Italia? Secondo un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati contenuti nel “Global Competitiveness Report 2018”1, il mercato del lavoro italiano è poco efficiente, tanto da essere finito al 24° posto tra i 28 membri dell’Unione Europea e al 79° posto su 140 Stati del mondo. Pur guadagnando nell’ultimo anno ben 37 posizioni nella graduatoria internazionale e 3 in quella europea, in termini di efficienza ed efficacia il mercato del lavoro italiano si colloca ancora dietro a quello di Paesi come Perù, Nigeria, India e Uruguay.
La parola efficienza aggrega più voci. L’Italia, ad esempio, è al 135° posto al mondo e terzultima in Europa per flessibilità nella determinazione dei salari: ciò significa che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata.
Si fa fatica a legare lo stipendio all’effettiva produttività, tanto che in tema di retribuzioni l’Italia resta il peggior Paese europeo, 127° nel mondo.
Per pressione fiscale su lavoro, il Paese è al 100° posto nel mondo e al 12° in Europa.
Altri indicatori da considerare sono l’efficienza e l’efficacia delle politiche attive per il lavoro, dove l’Italia si colloca addirittura all’ultimo posto in Europa e al 97° nel mondo, e la partecipazione femminile al mercato del lavoro dove il Paese raggiunge il terzultimo posto della classifica europea e il 60° nel mondo.
Le reti sociali
L’ultima variabile esogena su cui vogliamo mettere l’attenzione riguarda le reti sociali in cui ciascun individuo è inserito.
Per rete sociale si intende l’insieme di relazioni interpersonali in cui ogni persona è immersa e da cui è in qualche modo influenzata.
Tali relazioni possono essere di parentela, di amicizia, di vicinato, di cooperazione e possono essere viste come un vero e proprio capitale il cui valore non è misurato in termini monetari, ma in base ai diversi livelli di sostegno.
Più una persona è inserita in una rete sociale, più avrà la possibilità di un supporto quando si tratta di soddisfare dei bisogni, rafforzare le proprie risorse, migliorare la qualità della vita. Ad esempio, la famiglia e i legami di parentela risultano particolarmente efficaci nel fornire sostegno pratico e morale, mentre la rete allargata di vicinato e amicizie funziona meglio nell’ambito ricreativo, di socialità e come opportunità sul mercato del lavoro.
“Su chi posso contare in caso di necessità?” o “A chi potrei dover prestare il mio aiuto?” sono alcune delle domande che ha senso porsi quando si fa una pianificazione del proprio patrimonio, per capire quali esigenze possono essere soddisfatte dalla propria rete e a quali, invece, bisogna pensare da soli. Ad esempio, a una persona può essere chiesto di supportare qualcuno all’interno della rete (un figlio, un genitore) e questo può incidere sul modo (e il tempo) in cui sceglie di allocare le risorse.
L’Istat ha calcolato la dimensione della rete familiare in Italia combinando numero di parenti stretti e numero di altri parenti su cui l’individuo dichiara di poter contare: nel 2016, la dimensione era di 5,4 parenti stretti (nonni, genitori, fratelli, sorelle, figli e nipoti) e di 1,9 altri parenti (zii, cugini, cognati, suoceri) su cui contare.
Rispetto al passato ci sono dei cambiamenti, perché la bassa fecondità, l’allungamento della vita media e i mutamenti nella struttura delle famiglie fanno sì che le reti di parentela diventino sempre più ristrette – con meno membri – e più allungate – più generazioni coesistenti e per più tempo.
La dimensione delle reti è anche funzionale all’età. Per i più anziani, il numero medio di parenti stretti si contrae, perché il minor numero di figli e nipoti, dovuto al protrarsi della bassa fecondità negli anni, non è compensato dalla presenza di fratelli, sorelle e genitori, a causa dell’età.
Per quanto riguarda i più giovani, la maggiore percentuale di individui con nonni viventi porta a un numero medio di parenti stretti più alto nel 2016 rispetto al passato, per effetto dell’aumento della speranza di vita in età avanzata. Inoltre, le giovani generazioni hanno una maggiore propensione a fidarsi di figure esterne alla rete parentale, come amici o vicini, e questo aumenta la percezione di una più ampia rete di sostegno rispetto agli adulti.
Per capire come e quanto si potrà estendere la rete sociale, è utile considerare anche il contesto territoriale in cui l’interlocutore risiede, perché il territorio può avere o meno la capacità di attrarre flussi e promuovere od ostacolare la formazione e la funzione di sostegno della rete sociale.
Nelle aree urbane ci sono maggiori possibilità di prescindere dalla rete stretta e allargare i propri rapporti con la rete di amici nel corso della vita. Al contrario, nelle aree rurali e nei contesti urbani di ridotta dimensione rimane forte il tipo di legame più tradizionale, che si sostanzia in rapporti fitti con i parenti più stretti.
Il ruolo della consulenza nell’analisi delle variabili esogene
È evidente che quello dell’analisi del contesto è un mondo complesso, fatto di dati, trend, correlazioni talvolta anche difficili da cogliere. Tuttavia, alcuni di questi dati possono essere importanti indicatori di cambiamenti di scenario: occorrono competenze, esperienze e capacità tecniche non indifferenti per comprenderne la portata.
Proprio a fronte della complessità che caratterizza l’analisi delle variabili esogene, sarà sempre più indispensabile l’attività di un consulente patrimoniale qualificato, capace di leggere e prevedere dinamiche che riguardano non solo la sfera personale del risparmiatore ma anche il contesto che lo circonda.
1. https://www.agi.it/economia/mercato_lavoro_europa_ricerca-4576173/news/2018-11-07/