Gli economisti chiamano “cigno nero” un evento imprevedibile e di portata talmente ampia da poter cambiare il corso della storia. È il caso del Covid-19?
Quella del Coronavirus è un’epidemia che ha già provocato migliaia di contagi e di morti, ed è tutt’ora caratterizzata dall’incertezza sulla sua evoluzione. Se ci limitiamo ai numeri prettamente sanitari, non certo è la peggiore della storia dell’umanità. Tuttavia, le imponenti misure messe in campo in tutto il mondo, con la chiusura di siti produttivi in Cina ed il blocco della circolazione delle persone, sono senz’altro eccezionali.
Non solo: il Covid-19 ha stravolto le agende politiche nazionali ed internazionali e rappresenta una vera incognita per l’andamento dell’economia globale.
Inoltre, la grande novità di questa epidemia è la sua narrazione via social, un fattore nuovo che ha alimentato le reazioni emotive verso l’emergenza sanitaria in ogni parte del mondo, anche dove non si sono registrati casi di contagio.
Potrà tutto questo cambiare gli attuali assetti economici, politici, sociali e “mettere in quarantena” la globalizzazione?
Le epidemie nella storia
La diffusione degli agenti patogeni è da sempre collegata ai movimenti degli uomini e alle innovazioni nei trasporti, che hanno portato fuori dai confini geografici le epidemie, trasformandole anche in pandemie.
Fu così, ad esempio, per la peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1351, giunta in Europa dalla Mongolia tramite le navi che portavano il grano della Crimea. Successivamente, gli europei stessi furono esportatori, tra le civiltà precolombiane, di malattie quali vaiolo, morbillo e tubercolosi. In tempi più recenti, la Grande Guerra fu il motore della “spagnola”: si stima che, tra il 1918 e il 1920, portò a 50 milioni di decessi1.
Dagli anni ’50, il miglioramento delle condizioni socio-economiche e la disponibilità di vaccini e farmaci hanno portato ad un progressivo declino delle malattie infettive nei Paesi più sviluppati, generando un clima di generale ottimismo sanitario. Questo fino alla diffusione dell’Aids, che ha dimostrato ancora una volta come l’aumento e la rapidità dei trasferimenti di cose e persone in tutto il mondo favoriscano la trasmissione, da un continente all’altro, di malattie che si credevano presenti solo in alcune zone.
Negli ultimi trent’anni, l’intensificarsi dell’interdipendenza economica e commerciale tra le diverse aree del mondo ha introdotto un ulteriore elemento di novità. La globalizzazione, infatti, oltre a rendere più veloce e ampia la diffusione dei contagi, fa sì che le epidemie assumano una valenza non solo sanitaria ma anche economica.
Nel quadro di un’economia globalizzata, infatti, gli echi dei problemi interni ad uno Stato si ripercuotono sul sistema mondiale in proporzione al peso del Paese considerato.
Epidemia cinese, pandemia economica?
La Sars del 2002-2003 costò oltre 40 miliardi di dollari alla Cina, con un calo tra l’1% ed il 2% del Pil del Paese. Al tempo, però, la Cina rappresentava il 4,2% dell’economia mondiale e contribuiva per il 18% alla crescita del Pil mondiale. Oggi vale il 16% dell’economia globale e ne trascina la crescita.
Sul fronte delle interrelazioni economiche, oggi Pechino importa beni per 2,2 miliardi di dollari e ne esporta per 2,5 miliardi. Le misure imposte dal governo cinese stanno bloccando la produzione interna ma anche quella di molte aziende estere che hanno in Cina una sede produttiva. Peraltro, il settore più esposto all’epidemia è il terziario, che ha pesato molto, negli ultimi anni, sulla crescita del Dragone: negli ultimi dieci anni il suo contributo alla crescita è passato dal 46% al 59%.
Un rallentamento della Cina non potrà che riflettersi sull’economia globale? Secondo il centro di ricerca britannico Oxford Economics2, è presto per tentare di quantificare gli effetti dell’epidemia, perché molto dipenderà dalla capacità di contenere il virus. Tuttavia, si stima un calo del 4% nella crescita dell’economia cinese nel primo trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre la stima annuale è di un +5,6% contro la previsione del 6%. L’impatto sull’economia mondiale è stimato in un prudenziale taglio dello 0,2% delle attese di crescita, se si riuscirà ad evitare la pandemia.
Qualche segnale degli impatti è però già visibile sul settore automotive, che rappresenta il cuore della manifattura industriale non solo in Cina ma anche, ad esempio, in Germania. La chiusura forzata degli stabilimenti produttivi sta già mettendo in difficoltà la filiera componentistica in Europa e negli Stati Uniti, perché le aziende non possono approvvigionarsi dai loro fornitori. Secondo l’analisi di S&P, la produzione di auto in Cina calerà del 15% nel primo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Le linee di fornitura globali che entrano in crisi per lo stop dei fornitori cinesi non si limitano al settore dell’auto: la stessa cosa sta accadendo nel mondo della produzione di chip per smartphone, così come dei beni di lusso. Inoltre, bloccare la circolazione di milioni di viaggiatori cinesi significa dare un colpo secco al turismo, e in particolare alle economie in cui questo settore è colonna portante del Pil, come quella italiana e di altri Paesi europei.
Anche l’arrivo del Covid-19 in Italia ha provocato l’allerta non solo per la situazione sanitaria, ma anche per l’ambito economico. Le prime misure prese per bloccare la diffusione del contagio hanno interessato alcune regioni molto importanti per il Pil nazionale. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, infatti, valgono da sole il 40,5% del Prodotto Interno Lordo ed il 54,5% dell’export nazionale3. C’è grande timore poi per l’effetto sul turismo, visto che molti Stati nel mondo stanno cercando di bloccare il contagio prevenendo i contatti con le zone a rischio4.
Ecco quindi che le conseguenze economiche potrebbero essere peggiori di quelle sanitarie proprio nel vecchio continente, lontano dal focolaio principale dell’epidemia.
La prima epidemia social: quale effetto per la globalizzazione?
Rispetto alla Sars o al morbillo, per il momento Covid-19 sembra avere numeri decisamente più contenuti per letalità. Sia in Cina che in Italia, tra i Paesi col più alto numero di contagi, il tasso di mortalità è intorno al 3,4%5, meno di un terzo rispetto al tasso del 9,6% registrato per la Sars6.
Tuttavia, la paura è planetaria. Ad alimentare gli effetti globali dell’epidemia, c’è il ruolo della comunicazione, in particolare quella via social, che rende l’emergenza Coronavirus un unicum nella storia dell’umanità. Mai prima d’ora, infatti, era accaduto che i social facessero da cassa di risonanza ad un tema normalmente ascritto alle competenti istituzioni sanitarie e ai decision-maker nazionali ed internazionali.
I video dei contagiati in quarantena, la diffusione di fake news, gli allarmi su presunti contagi alimentano le preoccupazioni e questo può frenare la mobilità internazionale, che ha costituito uno degli aspetti peculiari degli ultimi vent’anni, plasmando il funzionamento di sistemi economici e di intere strutture sociali.
È dunque legittimo chiedersi se le trasformazioni che hanno annullato le distanze geografiche possano essere messe a rischio dalla psicosi collettiva, capace di paralizzare la circolazione di persone e merci.
Non è la prima volta, in realtà, che si parla di un rischio di allentamento della globalizzazione. Anche l’11 settembre e, in tempi più recenti, la minaccia del terrorismo internazionale hanno portato molti a parlare di un possibile ritorno degli Stati alla chiusura all’interno dei propri confini. Tuttavia, la globalizzazione comporta indubbi benefici.
Annualmente, il Parlamento europeo7 fa la conta del valore economico della globalizzazione. Nella sola Unione Europea, ad esempio, le esportazioni di beni e servizi sono cresciute da circa 1.160 miliardi di euro nel 2000 a 2.900 miliardi di euro nel 2018. Nel 2017 le esportazioni hanno garantito un lavoro a oltre 36 milioni di persone e quindi ad un lavoratore europeo su sette. Per ogni miliardo di euro generati dalle esportazioni, si creano in media 13.000 posti di lavoro. Inoltre la maggior parte di questi lavori legati alle esportazioni sono ben pagati, con un reddito medio superiore del 12% rispetto ad altri lavori.
Effetti positivi ci sono anche per i consumatori. Gli accordi commerciali, infatti, garantiscono tasse minori per gli importatori e questo comporta maggiore concorrenza e dunque prezzi più bassi sia per i beni materiali (abbigliamento, smartphone, televisori, software, auto) che per i servizi, con un risparmio di circa 600 euro all’anno pro-capite.
Se l’economia è il motore della globalizzazione, questa porta poi con sé anche una “contaminazione positiva” sul fronte del trasferimento di conoscenze tecnologiche, sanitarie, culturali ma anche di estensione dei diritti civili e della protezione delle libertà individuali.
Proprio la globalizzazione, intesa come condivisione del sapere, può aiutare a contenere la diffusione delle epidemie e l’ondata di panico, perché internazionalizza le conoscenze – dai risultati delle ricerche alle buone prassi – accelerando l’individuazione di soluzioni per contenere o ridurre i contagi. Da questa consapevolezza, ad esempio, è nata la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, istituita nel 1948 anche per assicurare la collaborazione tra le autorità sanitarie nazionali nel fronteggiare la diffusione planetaria di virus letali.
Il caso stesso del Coronavirus lo sta dimostrando. Rispetto alla Sars, su cui ci furono minori condivisioni di informazioni, la vicenda Covid-19 è stata gestita con maggiore tempestività e con un coordinamento senza precedenti tra le istituzioni sanitarie nazionali e internazionali.
Il blocco della mobilità, ad esempio, che crea disagi nel breve termine, dovrebbe servire proprio a contenere l’espansione dei contagi, evitando nel medio e lungo periodo una pandemia che altrimenti sarebbe inevitabile.
L’attenzione planetaria al caso Coronavirus, poi, sta accelerando la ricerca sul vaccino da parte di enti di tutto il mondo. I tempi medi di individuazione, sperimentazione e produzione di un vaccino, infatti, sono generalmente molto lunghi, fino a 10 anni8. Normalmente, tuttavia, la concentrazione da parte di enti di ricerca, società, laboratori non è diffusa come quella che si sta verificando per la lotta a Covid-199. Anche i governi stanno facendo la loro parte: basti pensare che gli Stati Uniti stanno investendo 1 miliardo di dollari per sviluppare il vaccino, di cui tutti beneficeranno.
Da tutti questi dati emerge quindi che la globalizzazione amplifica i rischi – di contagio a livello sanitario e di riflessi sull’economia – ma allo stesso tempo offre benefici difficilmente replicabili in un mondo chiuso. Molti degli strumenti migliori di cui oggi disponiamo per fronteggiare i rischi pandemici – dal coordinamento internazionale allo studio dei vaccini – sono infatti diretta conseguenza della globalizzazione.
Evitare ogni rischio è impossibile, a meno di non perdere i vantaggi sociali, culturali, economici e scientifici degli scambi internazionali: la strada più virtuosa resta quella di una gestione globale delle emergenze.
1. https://www.epicentro.iss.it/passi/storiePandemia
2. https://www.bbc.com/news/business-51386575
3. https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/01/03/news/autonomia
4. https://www.panorama.it/news/salute/coronavirus-italia
5. https://www.ilmessaggero.it/salute/focus/coronavirus_mortalita
6. https://www.iss.it/?p=4952
7. https://www.europarl.europa.eu/
8. https://www.epicentro.iss.it/vaccini/VacciniSviluppoCommercio
9. https://www.corriere.it/economia/aziende/20_marzo_09/vaccino