La pianificazione a lungo termine è più difficile di quanto possa sembrare, perché gli obiettivi e i desideri delle persone cambiano con il tempo. Ma se questa riflessione è importante per tutti gli ambiti della nostra esistenza, essa assume maggior rilevanza quando la pianificazione di cui si sta parlando riguarda i nostri investimenti.
Le variabili esogene che condizionano il comportamento dei mercati finanziari producono effetti sempre più marcati e, specie in questa fase storica, possono condizionare gli investitori ben più che in altre occasioni. Per certi versi la volatilità dei mercati azionari dovrebbe ormai essere stata ben compresa e accettata. Ma quando essa coinvolge anche i mercati obbligazionari, molti risparmiatori – e anche molti consulenti – si ritrovano smarriti, persi nell’emotività della situazione.
Le valutazioni e i processi utili a costruire un processo di consulenza vincente dovrebbero essere sempre al centro dei pensieri di un consulente, che dovrebbe sempre dedicare del tempo a queste idee ed affinarle nei momenti più semplici, per farsi trovare pronto in quelli più complessi. Ma come normalmente accade, è nei momenti complicati come quelli odierni che tendiamo a farci più domande.
Se da un lato gli obiettivi e i desideri delle persone cambiano nel tempo, dall’altro, quando essi si declinano in merito ai mercati finanziari, subiscono accelerazioni improvvise, sia nei momenti di euforia che in quelli di panico che scandiscono in maniera naturale il rapporto tra gli investitori e i mercati finanziari. Questa aritmia del comportamento ci spinge nel primo a caso a costruire portafogli più rischiosi di quanto siamo in grado di sopportare nel caso si passi dall’euforia al panico. Nel secondo caso, invece, i portafogli possono diventare molto più prudenti del necessario o addirittura liquidi, perché la paura ci fa perdere completamente di vista la pianificazione.
Non dimentichiamoci poi che la vita è fatta di impegni concreti, progetti, scelte di vita che comportano carriere, investimenti, spese, budget, necessità dei figli se ci sono, dei genitori anziani se hanno bisogno di assistenza, di spese mediche in una sanità sempre più privata, ecc. In questo scenario, passiamo il tempo condizionati e stimolati dal cambiamento, cercando di migliorarci e ripromettendoci di “non fare mai più la vita di prima”.
Il professor Matteo Motterlini, ordinario di filosofia della scienza e titolare dei corsi di economia cognitiva, neuroeconomia e behavioural change presso l’Università San Raffaele di Milano ha recentemente dichiarato: “È ora di costruire un modello di consulenza finanziaria per persone reali, che tenga conto della loro emotività. Così si può ottenere migliore disciplina e controllo facendo leva sui bias comportamentali. Il consulente può scardinare i bias o piegarli in senso positivo, per ricondurre la discussione con il cliente alla razionalità”.
Proviamo allora a definire le variabili su cui focalizzarsi per migliorare il nostro servizio.
Il primo fattore è il tempo. Una delle frasi attribuite a Warren Buffett recita: “L’investimento a lungo termine è lo stile d’investimento più discusso ma meno praticato”. Questo aspetto non è soltanto importante: è basilare. Troppo spesso si tende ad investire seguendo un processo d’acquisto. Si compera cioè un prodotto. Il passaggio da prodotto a servizio, da vendita a consulenza, da rendimento a pianificazione è fondamentale per costruire un processo vincente.
L’orizzonte temporale d’investimento qualificante è di dieci anni. O meglio, si dovrebbe comprendere che su orizzonti temporali inferiori le probabilità di ottenere un ritorno economico positivo sono altrettanto inferiori. In generale è bene avere chiaro il significato di “recovery period” ovvero del tempo necessario per ogni singolo investimento per tornare al proprio prezzo massimo. È un dato concreto che ci rende più consapevoli e impatta direttamente sulla nostra pianificazione, qualora il nostro timing di acquisto si sia rivelato poco felice.
Allo stesso tempo, l’investimento di lungo periodo che si è dimostrato più redditizio è senza dubbio l’investimento sul mercato azionario ed in particolare quello compiuto sul mercato azionario americano. Questo è un dato statistico e incontrovertibile, a patto però che si abbia ben chiaro che la vera formula di successo è quella di non disinvestire mai, se possibile legandosi all’albero della nave e turandosi le orecchie con la cera come Ulisse nel noto episodio delle sirene. Un’altra frase attribuita a Warren Buffett che rende bene l’idea in merito è “Quando perdi la pazienza, perdi i soldi”. È molto probabile infatti cadere nella trappola del disinvestimento nei momenti di calo dei mercati.
Questo concetto ci consente di passare alla seconda variabile fondamentale: la disciplina. Investire non è un’intuizione né tanto meno un gioco. Siamo figli della longevità delle nostre scelte e siamo bombardati da tutta una serie di proposte che ci tentano in continuazione, portandoci a mettere in discussione quanto già pianificato e già concordato, come se i mercati finanziari da soli non ci stimolassero già abbastanza con le proprie oscillazioni.
Da un lato il fattore vincente è il tempo e chi più ne ha, più raggiungerà i propri obiettivi. Dall’altro lato sarà premiato chi terrà più barra a dritta nei propri investimenti: chi riuscirà a modificare il proprio asset il meno possibile tenendo fede alla propria pianificazione iniziale, otterrà ciò che desidera in meno tempo. Certo, i ribilanciamenti possono essere un’ottima strategia se concordata preventivamente. Come sappiamo, infatti, riportare il portafoglio alla propria definizione percentuale iniziale con cadenze periodiche programmate assicura l’effetto di mitigare le perdite, ma con esse anche guadagni.
La terza variabile fondamentale è la diversificazione. Il 2022 si è rilevato uno degli esempi peggiori della storia per affermare che diversificare e decorrelare sia una buona soluzione per costruire un portafoglio di successo: come sappiamo, tutte o quasi le asset class hanno registrato un rendimento negativo, vanificando di fatto l’effetto compensativo tipico di questo approccio di buon senso. Qualcuno ha anche obiettato che il concetto di diversificazione “unconditional”, ovvero quella calcolata su intere decadi di cui si parla abitualmente, abbia evidenziato i propri limiti durante questa fase storica. Ma ciò vale solo se prendiamo in considerazione un arco temporale molto limitato: il breve periodo può solo confermarci che non è facile investire, anche se può sembrare semplice. Per questo è necessario affidarsi in prima battuta ad un buon consulente che ci supporti pienamente in questo viaggio.
Un viaggio in cui l’autista, il consulente, deve fare proprio il concetto che coordina e definisce i contorni di questo percorso: la condivisione. La memoria potrebbe riportarci ad uno dei quei viaggi estivi di una certa percorrenza, magari verso una località di villeggiatura lontana. Chissà quante volte sarà capitato in quel tipo di viaggio che qualche passeggero chiedesse: “Ma quanto manca?” Fra code, calura estiva, lavori autostradali, contrattempi vari, sembrava che il viaggio non terminasse mai.
Ma ecco che il nostro autista, ancora prima di partire, in maniera tale da preparare e pianificare il viaggio con tutti gli occupanti, condivide la propria conoscenza. Ci aiuta ancora il professor Motterlini: “Con il consulente paternalista, il cliente non cresce. Il consulente bravo si affianca al cliente e condivide delle conoscenze con lui, instaura un rapporto trasparente e che considera quello che accade nella testa del cliente, in modo da raggiungere una soluzione condivisa, senza basarsi sulla cieca fiducia nei suoi confronti”.
E forse il segreto di una consulenza vincente consiste proprio in questo, nella trasformazione di una figura tradizionalmente interpretata come “colui che dice al cliente cosa fare” in “colui che insegna ciò che conosce e condivide un percorso con il proprio cliente”.