Tra le varie eredità di Covid-19, ce n’è anche una lessicale. Negli ultimi mesi, infatti, è diventata di uso comune la parola “resilienza”, presente nei discorsi quotidiani così come nei documenti istituzionali, a partire dal Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza.
Il termine arriva dall’ambito della fisica, dove è utilizzato per descrivere la “proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi”1. Per estensione, viene utilizzato in senso generale per definire la “capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi”.
In effetti, in relazione a una situazione imprevista o addirittura un “cigno nero” come può essere stato Covid-19, sarebbe sbagliato limitarsi a individuare vincitori e sconfitti: c’è chi avverte l’urto iniziale, ma sa reagire e riprendere il suo percorso, seppur con qualche trasformazione. In ambito economico, le imprese che riescono ad attuare questo comportamento sono definite, appunto, resilienti.
Aziende resilienti: tre caratteristiche per identificarle
Premessa doverosa: non esistono aziende resilienti in assoluto, perché la capacità di ammortizzare gli urti dipende dall’interazione tra l’azienda e le dinamiche in rapida evoluzione dell’attività economica e del comportamento dei consumatori. Ad esempio, un’impresa resiliente durante la pandemia potrebbe non riuscire ad esserlo di fronte ad un evento diverso, e viceversa.
Tuttavia, è vero che la capacità di resilienza non nasce dal caso: dai primi studi sul tema, emergono già alcune caratteristiche che sembrano comuni a tutte le aziende più resilienti.
Solidità economica e finanziaria
Potrebbe sembrare un’ovvietà, ma partire con i conti “in ordine” – bilanci solidi, indebitamento gestibile…- è fondamentale per reggere l’urto di una crisi imprevedibile.
Le aziende in grado di sostenersi da sole durante le crisi possono innanzitutto avere accesso ai mercati del debito a tassi accessibili. Inoltre, chi ha accumulato ingenti riserve di liquidità ha risorse per continuare ad investire in personale, marketing e iniziative importanti di ricerca e sviluppo, acquisendo un vantaggio competitivo importante, sia durante il periodo di crisi che in vista della ripresa.
Uno studio di McKinsey del 20192 ha evidenziato molto bene questo aspetto, sulla base di alcuni dati empirici relativi a oltre mille società quotate in borsa, impegnate in diversi settori economici ed operative a varie latitudini. Tra queste, il 10% è riuscita ad ottenere risultati notevolmente migliori durante la recessione del 2008-2009: il dato ha incuriosito i ricercatori, che hanno cercato le motivazioni alla base della resilienza di queste realtà.
Indagando i fattori economici, hanno rilevato come queste società avessero ridotto il proprio indebitamento di oltre 1 dollaro per ogni dollaro di capitale nel loro bilancio già nel 2007, mentre le altre lo avevano incrementato di 3 dollari.
Questo, unito alla razionalizzazione dei costi e ad una buona patrimonializzazione, ha consentito loro di affrontare la crisi con una maggiore flessibilità finanziaria, di concentrarsi sulla crescita e di cogliere prima degli altri le opportunità della ripresa.
Sostenibilità ambientale, ma non solo
Durante la pandemia, la sostenibilità si è rivelata un fattore chiave per consolidare la resilienza di un’impresa, forse anche al di là delle aspettative.
Diverse ricerche evidenziano che le imprese che hanno scelto un approccio green sono state premiate anche nel corso dei mesi più bui3. L’undicesimo “Rapporto GreenItaly” di Fondazione Symbola e Unioncamere4 rileva, ad esempio, che ad ottobre 2020 il 16% delle imprese green è riuscito ad aumentare il proprio fatturato, contro il 9% delle imprese non green.
Come spiega un’analisi di KMPG, in un momento di disruption, la sostenibilità svolge “un ruolo di abilitatore per la creazione di valore e la continuità del business aziendale”5. Ciò accade innanzitutto perché i consumatori tendono a premiare le aziende che praticano politiche di sostenibilità credibili e riconosciute.
La propensione a comprare prodotti e servizi sostenibili è infatti un trend degli ultimi anni dettato dalla consapevolezza che ciascuno deve fare la propria parte nella lotta al cambiamento climatico. E l’epidemia, con la sua origine riconducibile ad una questione ambientale, ha dimostrato una volta di più l’urgenza del tema, dando nuova forza alle scelte di consumo orientate all’attenzione all’ambiente, a tutto vantaggio delle aziende già impegnate su questo fronte.
La sostenibilità, tuttavia, non ha solo a che fare con l’ambiente ma anche con la realtà aziendale (lavoratori, fornitori) e la società in cui si inserisce (territorio, collettività). Un’impresa attenta alla situazione in cui opera e ai suoi stakeholder, impegnata per favorire l’uguaglianza sociale, sviluppa il suo business in un contesto positivo di cooperazione e collaborazione. Potrebbe sembrare un aspetto retorico in momenti in cui tutto va bene, ma in caso di forti cambiamenti, come quelli innescati dal Covid-19, la cooperazione può fare la differenza per la sopravvivenza stessa di un’attività.
La dimensione internazionale
In piena pandemia, l’internazionalità di un’impresa potrebbe essere considerata più un ostacolo che un valore aggiunto. In effetti, le restrizioni alla mobilità e agli scambi internazionali, nei primi mesi del 2020, hanno creato non pochi problemi in termini di approvvigionamento di beni e servizi, innescando persino un dibattito sulla necessità tornare a filiere più corte. Addirittura, alcuni Governi hanno provato a introdurre misure volte ad incoraggiare le aziende a riportare in casa la produzione, facendo temere per qualche tempo un arretramento della globalizzazione. Tuttavia, passato lo shock iniziale, oggi la maggior parte degli economisti è concorde nell’affermare che il reshoring è raramente l’opzione migliore.
Le imprese hanno certamente imparato che un approccio più conservativo, basato sull’incremento delle scorte, consente di essere resilienti rispetto agli eventi improvvisi, e che le connessioni smart non sono solo un orpello, ma un prezioso alleato quando non è possibile incontrarsi in presenza.
Nel frattempo, è emerso anche che le aziende con una dimensione internazionale possono essere più resilienti. Le realtà che si muovono su diverse latitudini sono di norma multinazionali con importanti performance economiche positive, e questo già basterebbe a capire che hanno più chance di resistere agli urti di una crisi improvvisa.
Ma non è solo questo a fare la differenza rispetto alle imprese “territoriali”: c’è anche una questione legata all’accesso alle informazioni. La pandemia, evento globale per eccellenza, ha colpito a diverse latitudini ad ondate asincrone. Questo ha consentito a chi si muove in contesti internazionali di prepararsi all’arrivo di ondate e contromisure, ad esempio strutturando lo smart-working, aprendo nuovi canali di comunicazione con i target non in presenza, aumentando le scorte. Un vantaggio non di poco conto rispetto a chi, operando solo in Paesi che sembravano poco minacciati dal Coronavirus, ha potuto cogliere le avvisaglie della crisi solamente dai media.
Inoltre, la possibilità di compensare le performance negative registrate nei territori più colpiti con quelle positive delle zone meno colpite o comunque che sono riuscite ad uscire prima dall’ondata epidemiologica è stato un altro punto di forza per le imprese internazionali.
Non da ultimo, per loro stessa natura le realtà multinazionali richiedono una guida manageriale con una naturale propensione al problem-solving, che ha sperimentato ogni genere di contesto commerciale, favorevole e sfavorevole.
Tutti questi fattori legati all’internazionalizzazione, messi insieme, consentono alle aziende di essere resilienti e di trovare una strada per reagire di fronte alle difficoltà.
La resilienza nel settore assicurativo-finanziario
La sempre maggiore volatilità dell’ambiente in cui si inserisce ogni attività di business è diventata ormai il “new normal”. Nel report di McKinsey già citato, gli studiosi lo scrivono chiaramente: è inutile perdere tempo a prevedere il prossimo ciclo economico, perché anche gli osservatori più esperti faticano a cogliere tutte le variabili che potrebbero causare un “cigno nero”. Certo è, invece, che le aziende più resilienti sono quelle che, facendo tesoro delle esperienze passate, dimostrano di sapersi preparare per tempo, puntando su stabilità, sostenibilità e internazionalità.
Il quadro tracciato fino ad ora vale per tutto il mondo economico, compreso il settore assicurativo-finanziario. Non a caso il Gruppo Allianz, di cui Darta fa parte, guarda con attenzione, ad esempio, alla solidità della propria situazione patrimoniale, positiva per il 2020, ben sapendo quanto questa sia importante per affrontare anche gli scenari più negativi.
La solidità dell’azienda, l’attenzione alla sostenibilità intesa in tutte le sue sfaccettature e la capacità di muoversi su più mercati a livello internazionale consentono infatti di reggere l’urto di una crisi globale, mantenere la solvibilità ed intercettare nuove opportunità per investitori sempre più attenti ai fattori ESG, riducendo i rischi grazie alla diversificazione anche geografica.
1. Maria Vittoria D’Onghia, “Resilienza, una parola alla moda”, 16 ottobre 2020, Treccani.it
2. “Bubbles pop, downturns stop”, 21 maggio 2019, mckinsey.com
3. “Ecomondo: le imprese che hanno scelto un approccio green sono più resilienti”, 10 novembre 2020, ansa.it; “Imprese “green”: più attente all’ambiente, più forti contro la crisi”, 1 marzo 2021, metropolitano.it
4. “Le aziende green sono più resilienti”, 30 ottobre 2020, symbola.net
5. “Kpmg: le aziende sostenibili sono più resilienti alle crisi globali, 28 maggio 2020, ansa.it