Il progresso della medicina, che oggi consente di prevenire e curare patologie che un tempo erano letali, nell’ultimo secolo ha determinato un’accelerazione esponenziale nella crescita dell’aspettativa di vita.
Come documentato dall’economista britannico Angus Maddison nella sua opera L’economia mondiale. Una prospettiva millenaria, tra l’anno 1000 ed il 1820 siamo passati da un’aspettativa di 24 anni ad una di 36, con una crescita di soli 12 anni in otto secoli. A fronte di questo dato, risulta particolarmente impressionante il confronto con quanto accaduto nel solo ‘900, quando tra inizio e fine secolo la media dell’aspettativa di vita alla nascita nei Paesi industrializzati è cresciuta dai 46 ai 78 anni, con un aumento di ben 32 anni. Ovviamente si tratta di medie, ma è una dinamica che coinvolge tutto il mondo e non accenna a fermarsi, tanto che le Nazioni Unite stimano che nel 2100 si supererà la media dei 90 anni, con punte di 95 anni in Italia.
Se guardiamo, inoltre, alle diverse fasce d’età, dagli anni ‘50 al 2015 il maggiore innalzamento della speranza di vita si è registrato proprio nelle fasce di popolazione più anziana. A livello globale, infatti, per un sessantacinquenne l’aspettativa è aumentata in media da 11 a oltre 16 anni, e dovrebbe superare i 22 anni a fine secolo.
Questo quadro è ben noto a chi si occupa di politiche macro-economiche, perché implica un grande impatto sul fronte della spesa previdenziale. Anche a livello micro, tuttavia, l’allungamento dell’orizzonte temporale ha un’influenza importante, perché implica che la gestione patrimoniale sia coerente con aspettative e bisogni nuovi.
L’approccio agli investimenti dopo la pensione
Considerando che in Italia l’età media a cui si va in pensione è di 62 anni e che la vita media è di 82,3 anni (85 per le donne, 80 per gli uomini), esiste già oggi un arco temporale di circa 20 anni, destinato a crescere, in cui le persone sono tendenzialmente libere da impegni lavorativi e mediamente in buona salute. In questo lasso di tempo, il reddito da pensione e i patrimoni eventualmente accantonati sono utilizzati per mantenere il tenore di vita, pianificare la successione, ma anche dedicarsi ai propri interessi. Si stima1 che la spesa media mensile della popolazione over 65 in Italia sia pari a 2.200 euro, di cui il 19,5% utilizzati per spese alimentari e l’80,5% per acquisti non alimentari, che comprendono anche casa e trasporti.
Sul fronte degli investimenti, tuttavia, come abbiamo evidenziato tempo fa in un articolo del nostro blog, si è consolidato un atteggiamento prudenziale.
Il rapporto Censi-Aipb su “Gli italiani e la ricchezza”2 sottolinea, ad esempio, che, relativamente alla diffusione degli strumenti finanziari in base alle caratteristiche del capofamiglia, la maggior parte di chi possiede strumenti “prudenti” come depositi bancari o postali, titoli di Stato e buoni fruttiferi postali ha più di 65 anni, mentre azioni e partecipazioni vedono spiccare la fascia 45-54 anni.
Tradizionalmente, in effetti, il life-cycle degli investimenti prevede che il rischio finanziario si riduca gradualmente in relazione all’età anagrafica. Con l’avvicinarsi dell’età pensionabile, la strategia generalmente utilizzata è quella di modificare il portafoglio investimenti in modo da ridurre la componente investita in comparti con profilo di rischio più elevato a vantaggio di quelli con profilo di rischio più contenuto.
L’investimento viene quindi spostato da una tipologia iniziale “di crescita” (con una preponderanza, ad esempio, di azioni) verso una di investimento “garantito” (con una maggiore componente obbligazionaria) man mano che l’investitore si avvicina al pensionamento.
Questa prudenza è legata sostanzialmente all’orizzonte temporale più breve di quello che si dispone in giovane età: questo è in genere associato ad un allontanamento dal rischio, perché sarebbe più difficile compensare eventuali volatilità sui mercati.
Gestire il rischio in modo attivo anche dopo la pensione
L’allungamento dell’aspettativa di vita proprio nelle fasce d’età più elevate è destinato a ridimensionare l’assunto per cui gli over-65 devono muoversi verso investimenti esclusivamente difensivi: con un orizzonte temporale molto più ampio rispetto al passato, l’età della pensione non è più la “colonna d’Ercole” degli investimenti, raggiunta la quale si deve necessariamente perseguire la conservazione del patrimonio come unico obiettivo.
A lungo andare, in effetti, un approccio estremamente cauto potrebbe addirittura portare all’effetto di esaurire il patrimonio accantonato mentre si è ancora in vita.
Se consideriamo la generazione dei Baby Boomer – nati tra il 1946 ed il 1964, quando l’aspettativa di vita era inferiore a quella attuale – è realistico pensare che si ritrovino a ridosso della pensione con accantonamenti non adeguati all’orizzonte temporale che hanno davanti.
Lo stesso varrà ancor di più per le nuove generazioni di lavoratori italiani, che dovranno contare su pensioni ridotte: per loro, investire dopo l’uscita dal mondo del lavoro potrebbe diventare una soluzione quasi indispensabile per integrare i redditi.
Sapere di poter contare su un orizzonte temporale tutt’altro che breve consente di scegliere, anche dopo la pensione, soluzioni di investimento in grado di diversificare gli asset, in linea col proprio profilo di rischio, che non deve essere necessariamente prudenziale.
Anche il settore pubblico inizia ad essere consapevole di questa esigenza, tanto che nella sua relazione del 20153 – interamente dedicata al tema della longevità – il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco fa riferimento alla possibilità che lo Stato intervenga per incentivare una gestione attiva dei patrimoni.
“Va sottolineato – si legge nella relazione – che sia il rischio di longevità sia i rischi dei mercati finanziari hanno anche una componente sistemica, che richiede forme di collaborazione tra le generazioni presenti e quelle future. Le opzioni disponibili possono variare considerevolmente da paese a paese a seconda del contesto istituzionale e della struttura economica e finanziaria, ma tra esse vanno considerate anche forme di garanzie minime e trasparenti fornite dallo Stato agli schemi pensionistici e ai fornitori di rendite vitalizie, a prezzi e condizioni tali da compensare nel medio periodo i rischi che si trasferirebbero sui bilanci pubblici”.
1. https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/le-storie/2019/06/11/news/la_silver_economy_in_cifre-228494102/#_ftn2
2. http://www.censis.it/sites/default/files/downloads/II%20RAPPORTO%20AIPB-CENSIS.pdf
3. https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2015/visco-11122015.pdf