Articolo originariamente pubblicato su ThinkinPark.
Nell’edizione del 2015 si verificò una delle decisioni più controverse di tutta la storia del Super Bowl: a 26 secondi al termine, i Seattle Seahawks erano indietro di quattro punti rispetto ai New England Patriots ma si trovavano con il possesso palla al secondo tentativo ad una yard dalla linea di meta (nel football americano i tentativi totali per l’attacco sono quattro). Tutti si sarebbero aspettati che Pete Carroll, il coach dei Seahawks, indicasse un passaggio alla mano per il corridore Marshawn Lynch: in fondo doveva coprire una distanza minima ed era uno dei migliori “portatori di pallone” di tutto il campionato.
Invece Carroll ordinò al quarterback Russell Wilson di effettuare un lancio: i New England intercettarono il passaggio e vinsero il Super Bowl.
Il “resulting”
Il giorno successivo tutti i media massacrarono Pete Carroll, incolpandolo di aver preso la peggior decisione di tutta la storia del Super Bowl. Eppure ci fu anche qualche voce contraria, che affermava che, in considerazione della situazione di gioco e del tempo rimasto, la decisione di passare non era poi così assurda.
In fondo durante la stagione nessuno dei 66 tentativi di passaggio dalla linea di una yard era stato intercettato e nelle stagioni precedenti il tasso di intercetto da quella posizione era stato pari a circa il 2%. Numeri alla mano Carroll aveva chiamato un gioco che aveva un’alta probabilità di finire con una meta vincente o con un passaggio incompleto, nel qual caso avrebbe avuto altri due tentativi per provare una corsa con Marshawn Lynch. In sostanza Carroll aveva fatto una scelta probabilisticamente corretta ma era stato sfortunato.
Se il passaggio avesse portato ad una meta sarebbe stato considerato un genio della tattica, perché tutti si sarebbero aspettati una corsa, mentre se il passaggio fosse stato incompleto e la partita si fosse risolta (favorevolmente o negativamente) al terzo o quarto tentativo, tutti avrebbero parlato delle giocate successive e nessuno si sarebbe focalizzato su quella scelta.
Ma allora perché tutti gli davano addosso? Semplice: il passaggio era stato intercettato e la partita persa; quella scelta aveva mandato in fumo la speranza di vincere il Super Bowl! Carroll era finito vittima della nostra naturale tendenza a giudicare la qualità di una decisione in base alla qualità del suo risultato, un bias che i giocatori di poker definiscono “resulting”.
Per capire quanto il “resulting” sia un bias che ci condiziona in maniera significativa facciamo un esperimento: proviamo a pensare alle nostre migliori e peggiori decisioni degli ultimi dodici mesi. Molto probabilmente ricorderemo come migliori quelle che hanno portato a buoni risultati e viceversa quelle peggiori. Difficilmente giudicheremo come buone le decisioni ben ragionate che però per qualche motivo non sono state efficaci o come pessime decisioni superficiali che però sono state premiate dalla fortuna. È così che funziona purtroppo: i risultati condizionano in maniera determinante il giudizio sul processo decisionale.
Il senno del poi
Perché non siamo in grado di valutare obiettivamente le scelte, scorporare l’impatto dell’abilità da quello della fortuna e siamo inesorabilmente vittime di un focus ossessivo sui risultati?
Una spiegazione è data dal hindsight bias o pregiudizio del senno del poi, cioè la tendenza, dopo che un fatto è accaduto, a giudicarlo come inevitabile e scontato. Il pregiudizio del senno del poi è una distorsione importante perché ci impedisce, quando ci riferiamo al passato, di ragionare in maniera probabilistica.
Facciamo un esempio. Supponiamo di considerare una strada: guardandoci indietro non vediamo svolte, percorsi alternativi ma un’unica direzione. La strada dietro di noi è infatti il passato, ormai immutabile. Di fronte a noi ci sono però più strade alternative: sono i possibili scenari futuri che possono scaturire dalle scelte che facciamo oggi. Alcune strade sono più grandi e coincidono con gli scenari più probabili mentre altre sono più piccole, gli scenari a bassa probabilità. Una volta che procediamo in avanti e che il futuro diventa presente e poi passato, rimane però solo la strada che abbiamo percorso: è come se le strade alternative, quelle che non abbiamo imboccato, scomparissero. Guardandosi indietro è come se non fossero mai esistite, per quanto grandi potessero essere state.
L’allenatore dei Seattle Seahawks nell’ultimo minuto del Super Bowl ha fatto una scelta che poteva portare a tre strade: due più grandi, la meta o l’incompleto, e una più piccola, l’intercetto. Una volta che il futuro è diventato presente e la strada percorsa è stata l’intercetto, nessuno si è più ricordato che esistevano anche le altre due strade molto più grandi: i media, commentando ex post la partita, hanno giudicato quello che era accaduto come l’esito inevitabile di quella “strana” decisione di effettuare un lancio. Gli scenari alternativi sono scomparsi dall’analisi storica.
Questo è come funziona il senno del poi. Ci risulta abbastanza semplice ragionare in termini probabilistici rispetto al futuro; ma una volta che il futuro diventa passato, ci ricordiamo solo di quello che è accaduto veramente e ci dimentichiamo di quello che sarebbe potuto accadere. Non riusciamo a ragionare in termini probabilistici rispetto al passato e non ci ricordiamo neppure di averlo fatto quando il passato era ancora futuro.
Conclusioni
Il pregiudizio del senno del poi porta a vedere il passato come molto più semplice e scontato rispetto a quanto sia stato in realtà e a dimenticarsi le strade che gli eventi potevano teoricamente percorrere. In questo modo si cade anche vittima del “resulting” cioè della tendenza a valutare la qualità delle scelte solo in base ai risultati, incapaci di scorporare il contributo della fortuna e dell’abilità.
Per cui se quando qualcuno vi dice “te l’avevo detto” o “lo sapevo che finiva così” e voi vi innervosite… beh avete ragione!
“Anche uno stolto può essere saggio dopo l’evento.” (Omero)
Bibliografia
Duke, Anne. Thinking in Bets. Making Smarter Decisions When You Don’t Have All the Facts. Penguin, 2019.