Articolo originariamente pubblicato su ThinkinPark.
Il Manuale di Epitteto, uno dei testi di riferimento della filosofia stoica, si apre con una frase diventata celebre: “delle cose che esistono alcune sono in nostro potere, altre no.” Secondo Epitteto l’uomo si trova costantemente di fronte ad una dicotomia del controllo: una delle decisioni più importanti della nostra vita è capire se porre la nostra attenzione a ciò che esiste al di fuori di noi e non può essere controllato, oppure scegliere di occuparci di ciò che abbiamo dentro. Purtroppo, nota Epitteto, gran parte delle persone finiscono per desiderare cose che non possono controllare e quando non le ottengono, sperimentano rabbia, frustrazione e infelicità.
La tricotomia del controllo
Il filosofo William B. Irvine, nel suo libro L’antica arte di saper vivere, sostiene che la dicotomia del controllo di Epitteto può essere in realtà trasformata in una tricotomia. Le cose su cui non abbiamo un controllo “assoluto” possono essere a loro volta suddivise in due categorie: quelle su cui non abbiamo alcun controllo (come il fatto che il sole sorgerà domani) e quelle su cui abbiamo solo un controllo “parziale” ma non assoluto.
Prendiamo il caso di una partita di tennis: non abbiamo il pieno controllo su questa attività e per quanto duramente ci impegniamo potremmo comunque perdere. Allo stesso tempo non si tratta di qualcosa su cui non abbiamo alcun controllo: allenarsi al meglio e dare tutto durante il match influenzerà sicuramente le probabilità di vittoria. La vittoria in una partita di tennis è quindi un esempio di attività su cui abbiamo un controllo parziale ma non assoluto.
La dicotomia del controllo di Epitteto può quindi essere riformulata come una tricotomia: ci sono cose su cui abbiamo un controllo assoluto, cose su cui non abbiamo alcun controllo e cose su cui abbiamo un controllo parziale, ma non assoluto. Ognuna delle cose che incontriamo nella vita rientra in una e una sola di queste tre categorie.
Il controllo delle cose
Tra le cose su cui abbiamo un controllo assoluto ci sono ad esempio gli obiettivi che ci prefiggiamo. Siamo noi a decidere a cosa vogliamo tendere, cosa vogliamo ottenere. Il fatto che saremo o meno in grado di raggiungere questi obiettivi rientra invece nella categoria delle cose su cui abbiamo un controllo parziale perché non dipenderà solo da noi ma anche da altri fattori esterni.
Anche sui nostri valori abbiamo un controllo assoluto: possiamo decidere in completa autonomia se dare valore alla fama o alla ricchezza, al piacere o alla tranquillità. E anche il modo di pensare e il nostro atteggiamento dipende solo da noi: di fronte ad un medesimo accadimento potremmo scegliere di reagire in modalità completamente differenti.
È ovvio, come sottolinea Epitteto, che dovremmo focalizzarci sulle cose che dipendono da noi e possiamo controllare. Secondo gli stoici, spendere tempo ed energia per fissare i nostri obiettivi, determinare i nostri valori e il nostro atteggiamento è un’attività di grande utilità, con una ricompensa molto alta. Marco Aurelio, l’imperatore che ha abbracciato fin da fanciullo la filosofia stoica, ritiene che la chiave per vivere una buona vita sia infatti proprio questa: dare valore alle cose che hanno davvero valore, e restare indifferenti rispetto a quelle che non ce l’hanno. E visto che abbiamo il potere di dare il valore alle cose, abbiamo anche il potere di vivere una buona vita.
Al contrario non ha alcun senso (e secondo gli stoici è addirittura ridicolo) focalizzarsi sulle cose su cui non abbiamo alcun controllo perché non avremo comunque alcun impatto. Marco Aurelio sottolinea che “nulla dovrebbe essere fatto invano” ed Epitteto ribadisce “l’unica strada verso la libertà è il disprezzo di ciò che non dipende da noi.”
“L’unica strada verso la libertà è il disprezzo di ciò che non dipende da noi.” (Epitteto)
In ambito aziendale, le cose su cui abbiamo un controllo assoluto sono ad esempio il modo in cui decidiamo di utilizzare il budget che abbiamo a disposizione o i progetti e le iniziative che decidiamo di finanziare. L’esito dei vari progetti rientra invece nella categoria delle cose su cui abbiamo un controllo parziale perché se lavoriamo bene possiamo aumentare le probabilità di successo ma potrebbero essere determinanti anche altri fattori come l’andamento del mercato, le scelte dei competitors, eventuali shock esterni che non possiamo controllare direttamente.
Anche il modo in cui decidiamo di interagire con i nostri colleghi e influire così sulla cultura aziendale rientra nel nostro pieno controllo. Sono attività su cui dovremmo porre grande attenzione perché siamo in grado di indirizzarle al 100%: ricordiamocelo già a partire dalla prossima volta che torniamo al lavoro!
Nel campo degli investimenti finanziari, la definizione degli obiettivi, la costruzione di portafoglio e gli strumenti che decidiamo di utilizzare sono attività che rientrano nel nostro controllo assoluto. Sul rendimento del nostro portafoglio avremo invece un controllo solo parziale, soprattutto nel breve periodo, in quanto sarà influenzato non solo dalle nostre scelte ma anche dall’andamento del mercato che invece è assolutamente imprevedibile e sfugge al nostro controllo. La gestione degli investimenti è una delle situazioni tipiche in cui gli individui sprecano tempo ed energie, soprattutto emotive, focalizzandosi su quello che non riescono a controllare (l’andamento del mercato) piuttosto che focalizzarsi su quello che riescono a controllare (definire bene gli obiettivi, la struttura del portafoglio e la scelta degli strumenti). Gli stoici sarebbero inorriditi osservando il comportamento degli investitori moderni.
L’interiorizzazione degli obiettivi
Il consiglio degli stoici è chiaro per quel che riguarda le situazioni in cui abbiamo o un controllo assoluto o non ne abbiamo alcuno. Ma come comportarsi nelle situazioni in cui, come nel caso della partita di tennis abbiamo solo un controllo parziale? Si tratta infatti di casi in cui ci imbattiamo frequentemente sia nella vita privata che in quella lavorativa.
Anche in questo caso gli stoici ci propongono un modello mentale efficace. Ricordate che tra le cose su cui abbiamo un controllo assoluto ci sono gli obiettivi? Ecco quando uno stoico si deve occupare di cose su cui ha un controllo solo parziale farà ben attenzione a porsi degli obiettivi interni e non esterni: il suo obiettivo quando giocherà a tennis non sarà quello di vincere la partita (un obiettivo esterno su cui non ha un controllo assoluto) ma di giocare al meglio delle sue possibilità (un obiettivo interno su cui ha pieno controllo).
E qui c’è un passaggio chiave: giocare al meglio delle proprie possibilità è anche la strategia migliore per vincere la partita, cioè raggiungere l’obiettivo esterno. Gli stoici compresero bene che i nostri obiettivi interni influenzano le nostre prestazioni esterne, ma capirono anche che gli obiettivi che ci poniamo personalmente possono esercitare un grande impatto sul nostro stato emotivo. Secondo gli stoici, porsi l’obiettivo di vincere la partita non solo non aumenterà le probabilità di vincerla, ma potrebbe addirittura ridurle: se durante il match ci trovassimo in difficoltà, potremmo innervosirci, pensare a quanto sarebbe brutto perdere, e invece che rimanere concentrati sul nostro gioco, rovineremmo definitivamente le nostre chance di vittoria. Inoltre, ponendoci l’obiettivo di vincere, aumenteremmo significativamente le probabilità di provare delusione, sconforto e tristezza in caso di sconfitta. Se invece decidiamo che il nostro obiettivo è quello di fare del nostro meglio, non ridurremo le nostre probabilità di vittoria (anzi!) ma sicuramente il rischio di cadere in depressione in caso di sconfitta. Se abbiamo dato tutto, anche in caso di sconfitta, avremo comunque raggiunto il nostro obiettivo e non saremo dei falliti.
L’interiorizzazione degli obiettivi e il focus sulle cose che si possono controllare, è la strategia di riferimento per gran parte degli sportivi professionisti. Un modello mentale fondamentale per non cadere nella trappola delle pressioni e non farsi schiacciare dall’ansia del risultato.
In un’intervista a Sky alla fine del 2022, Jannik Sinner ha affermato che l’obiettivo del 2023 non è vincere un grande torneo, uno Slam o un Master 1000: “certo mi piacerebbe molto, ed è una cosa che ancora manca nella mia bacheca. Ma vincere un torneo importante dipende da tanti fattori, che non posso controllare, e quindi non può essere un mio obiettivo, mi metterebbe solo pressione addosso.” Il suo vero obiettivo invece è “migliorare la varietà del mio gioco, la mia resistenza fisica e la capacità di giocare ad alta intensità per 4 o 5 ore di fila.” È evidente quindi che Sinner, grazie all’aiuto dei suoi coach, sta adottando la strategia stoica: non si pone obiettivi esterni anche se potenzialmente realizzabili (vincere un grande torneo) ma si focalizza sul miglioramento del gioco (un obiettivo interno su cui ha controllo) che però è la strategia migliore per vincere qualcosa di importante. Master 1000.
E se ascoltate le interviste di Carlos Alcaraz, il leitmotiv è sempre lo stesso. Per far crescere questi giovani campioni senza troppe pressioni psicologiche che potrebbero rovinarli, i loro coach li stanno facendo focalizzare solo sul gioco e non sul risultato. Ed è questo il motivo per cui, nonostante la giovane età, riescono sempre a gestire psicologicamente bene le partite e a dare sempre il 100%. Alla fine dell’incredibile match di semifinale del torneo di Miami del 2023, dopo il punto che ne ha decretato la sconfitta, Alcaraz è subito corso ad abbracciare Sinner e con un sorriso gli ha detto “in finale tiferò per te”. Non era triste: perché anche se aveva perso, aveva giocato una grande partita, dando tutto quello che aveva. Sinner era semplicemente stato più bravo, ma su questo lui non poteva farci niente. Gli stoici sarebbero contenti di osservare Sinner ed Alcaraz e sicuramente li annovererebbero tra i loro seguaci.
Anche il leggendario coach John Wooden utilizzava la strategia stoica dell’interiorizzazione degli obiettivi. Wooden è stato il coach più vincente della storia del basket universitario americano e ha guidato UCLA al titolo nazionale per ben dieci volte tra il 1964 e il 1975, stabilendo dei record che gli esperti considerano irraggiungibili. Al contrario di molti altri allenatori focalizzati sui risultati, Wooden non intimava mai ai suoi giocatori di non commettere errori e non esigeva la vittoria: quello che chiedeva era di prepararsi al meglio e dare sempre tutto. “Ho vinto? Ho perso? Queste sono le domande sbagliate. La domanda corretta è: mi sono impegnato al massimo? Se è così puoi essere sconfitto ma non perderai mai.” E ancora: “ci sono state molte partite che mi hanno dato lo stesso godimento dei dieci titoli nazionali che abbiamo vinto, semplicemente perché ci siamo preparati al meglio e abbiamo giocato al nostro massimo livello.” Una grande lezione per tutti quegli allenatori che dicono che il risultato (obiettivo esterno non controllabile) sia più importante della prestazione (obiettivo interno su cui abbiamo un controllo assoluto).
“Ho vinto? Ho perso? Queste sono le domande sbagliate. La domanda corretta è: mi sono impegnato al massimo? Se è così puoi essere sconfitto ma non perderai mai.” (John Wooden)
Conclusioni
Gli stoici ci offrono due modelli mentali importanti. Con il primo ci dicono di focalizzarci solo sulle cose che riusciamo a controllare e di lasciar completamente perdere e non sprecare energie con quelle su cui non abbiamo alcun controllo.
Il secondo ci offre una chiave interpretativa quando ci troviamo in presenza di situazioni in cui abbiamo un controllo solo parziale. Qui gli stoici ci suggeriscono di individuare degli obiettivi interni, cioè che dipendono solo da noi, che sono propedeutici e funzionali al raggiungimento dell’obiettivo esterno su cui abbiamo un controllo solo parziale.
Nel caso di prestazioni sportive, questo significa focalizzarsi su quelle attività come allenamento, alimentazione, impegno che possono aumentare le nostre probabilità di ottenere l’obiettivo esterno che può essere la vittoria o un determinato livello di performance. Compito del coach e dell’allenatore è quindi individuare questi obiettivi interni e convincere la squadra o l’atleta a seguirli.
Allo stesso modo in azienda occorre individuare e mettere il focus su obiettivi interni, alla portata e sotto il controllo di ciascun collega, che se raggiunti e perseguiti con costanza, incrementano le probabilità di raggiungere obiettivi su cui abbiamo meno controllo come il successo dei progetti o i numeri del budget. Così come un bravo coach, un compito fondamentale del manager è quindi quello di capire quali siano gli obiettivi interni che maggiormente possono influenzare i risultati aziendali e portare i colleghi concentrare su questi i propri sforzi.
Nel campo degli investimenti è la stessa storia: non è un caso che i grandi investitori mettano il focus sul processo (su cui hanno controllo) e non sui risultati di breve periodo (su cui non hanno controllo). Lavorare per migliorare il processo di investimento è l’unico modo per ottenere buoni risultati nel lungo periodo: cercare di prevedere dove andrà il mercato (obiettivo che non possiamo controllare) è la ricetta per risultati mediocri. Purtroppo, nella mia lunga carriera come gestore di fondi di investimento non ho mai incontrato un responsabile degli investimenti che si focalizzasse sul processo ma solo sui risultati di breve periodo.
La strategia dell’interiorizzazione degli obiettivi fu elaborata dagli stoici per conciliare due obiettivi apparentemente in contrapposizione: mantenere da un lato la tranquillità d’animo, che è uno dei principi cardine della filosofia stoica ed essere un partecipante attivo nella vita sociale. Gli stoici, infatti, non erano asceti che si ritiravano su un monte a pensare ma erano protagonisti del tempo in cui vivevano e generalmente ottenevano ottimi risultati: Seneca fu un drammaturgo, un imprenditore di successo (una sorta di precursore del moderno banchiere d’affari), un senatore e il primo consigliere dell’imperatore Nerone (da cui poi fu condannato a morte); Marco Aurelio è considerato uno degli imperatori più illuminati della storia romana e un decisore di grande saggezza. Catone, ad esempio, avrebbe goduto di una vita molto più serena se non si fosse sentito in dovere di osteggiare l’ascesa di Giulio Cesare e avesse passato il tempo in biblioteca a leggere i filosofi stoici.
Il fatto è che grazie all’interiorizzazione degli obiettivi gli stoici riuscivano a conciliare tranquillità e impegno pubblico: il loro scopo non era quello di cambiare il mondo (obiettivo esterno non controllabile) ma di fare del proprio meglio per agevolare certi cambiamenti. Se anche i loro sforzi si fossero rivelati vani, sapevano di aver comunque raggiunto i propri obiettivi: avevano fatto tutto ciò che era in loro potere.
Dal nostro punto di vista, lavorare sugli obiettivi interni e non saltare direttamente a quelli esterni presenta tre vantaggi significativi:
- è il modo più efficace per incrementare la probabilità di raggiungere l’obiettivo esterno, a condizione, ovviamente, di saper scegliere i giusti obiettivi interni. Continuare a ripetere “dobbiamo vincere” o “dobbiamo fare i numeri di budget” (cioè focalizzarsi su obiettivi esterni) non aumenta le probabilità di successo ma solo la tensione e il senso di fallimento in caso di insuccesso;
- riduce la pressione psicologica e l’ansia del risultato. Un conto è dire a un collega: quest’anno il tuo obiettivo è fare 1 milione di fatturato. Un altro è individuare e dare al collega una serie di obiettivi interni (ad esempio metriche che può controllare e influenzare direttamente con la sua attività) che se raggiunti possono incrementare significativamente le probabilità di raggiungere l’obiettivo esterno di fatturato. Nel primo caso il collega subirà la pressione di dover ottenere un obiettivo che anche se teoricamente possibile, non è sotto il suo pieno controllo perché influenzabile da molti altri fattori esterni (come per Sinner vincere uno Slam); nel secondo si focalizzerà invece su attività che può influenzare e quindi si troverà in una zona di comfort psicologico, e sarà in grado di gestire meglio anche l’eventuale “miss” del target esterno perché avrebbe la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per raggiungerlo;
- consente di valutare con maggiore obiettività la bontà del lavoro svolto. In assenza di obiettivi interni monitorabili e controllabili, l’unico modo per valutare la bontà del lavoro sarebbe il raggiungimento o meno del risultato esterno, un indicatore inefficiente e inerentemente ingiusto perché si tratta di obiettivi su cui abbiamo solo un controllo parziale. Si potrebbero infatti verificare situazioni in cui viene premiato il raggiungimento di un risultato determinato in gran parte dalla fortuna o circostanze esterne e penalizzare invece il mancato raggiungimento di un obiettivo nonostante sia stato svolto un ottimo lavoro.
Bibliografia
Epitteto. Manuale. BUR Rizzoli, 2021.
Irvine, William B.. L’antica arte di saper vivere. Piano B Edizioni, 2022.