L’orizzonte temporale del proprio investimento deve essere una delle informazioni più importanti da tenere in considerazione quando si decide su cosa investire e che rischio associare al proprio portafoglio. Del resto, l’orizzonte temporale rappresenterà il periodo di tempo durante il quale l’investitore “congela” le sue disponibilità finanziare, che altrimenti sarebbero destinate ad altre esigenze. Può sembrare banale, ma molto spesso questa informazione dettata dal buon senso non viene tenuta in dovuta considerazione da chi si affaccia al mondo degli investimenti.
Ci sono vari fattori da considerare nella profilatura del cliente e del suo orizzonte temporale: la condizione economica (chi ha più disponibilità ha probabilmente meno necessità di liquidità nel breve termine), l’età (chi investe a fini previdenziali ha, ad esempio, un diverso orizzonte temporale, in base a quando inizia l’investimento), il carattere emotivo dell’investitore (chi è avverso al rischio, tende spesso ad avere un orizzonte temporale breve puntando a strumenti poco rischiosi), la conoscenza dei mercati finanziari (chi dispone di maggiori informazioni finanziare può optare ad allocazioni tattiche – breve termine – rispetto a quelle strategiche – lungo termine).
Nel profilo rischio/rendimento di un cliente, l’orizzonte temporale è quindi correlato alla variabilità degli investimenti, dove per variabilità si intende il rischio: a parità di strumenti investiti, una scelta di investimento a breve termine può infatti avere una rischiosità totalmente diversa rispetto al lungo periodo.
Prendiamo per esempio l’investimento nell’azionario: normalmente l’azionario presenta un rendimento maggiore rispetto ai titoli “risk free”, perché “premia” l’investitore per il maggior rischio associato all’investimento. Si dovrebbe concludere che l’azionario è un asset class solo per investitori propensi al rischio. Vediamo però cosa succede con l’introduzione dell’orizzonte temporale.
Un genitore sui 40 anni che inizia a mettere da parte alcuni risparmi destinati ai propri figli piccoli o al un lavoratore giovane che intende costruirsi un’integrazione alla pensione pubblica avranno molto probabilmente un orizzonte temporale di investimento particolarmente lungo.
A differenza di quale potrebbe essere la propensione al rischio nel breve periodo, entrambi investiranno (o verranno consigliati di farlo) maggiormente nell’azionario. Esistono due semplici motivazioni che spiegano perché in questi casi sia raccomandabile puntare su soluzioni di investimento improntate alla crescita e che quindi presentino una componente elevata di investimento azionario:
- nel lungo periodo, anche un piccolo differenziale di rendimento genera importanti differenze nel capitale che può essere accumulato. Pensiamo ad esempio ad un investimento iniziale di €100.000 ed un orizzonte di 15 anni. Un investitore che investe in un portafoglio in grado di generare una performance annua del 4% otterrebbe alla fine del periodo un capitale di circa €180.000; se invece riuscisse ad ottenere un ritorno del 5% arriverebbe ad accumulare circa €208.000. Un solo 1% di differenziale di rendimento genera €28.000 in più, il 28% del capitale iniziale. Questo perché nel lungo periodo, per effetto della capitalizzazione composta, anche piccole differenze di rendimento tendono ad autoalimentarsi esponenzialmente.
- allungando l’orizzonte, le probabilità di ottenere un rendimento positivo con l’investimento azionario aumentano significativamente e questo può consentire di smussare le paure di chi è restio ad investire in questa asset class. Nel grafico sottostante viene rappresentato l’andamento dell’indice MSCI World (rappresentativo del mercato azionario internazionale) dal 1986 ad oggi. In un periodo non particolarmente positivo per i mercati (pensiamo solo alle crisi del 2001 e del 2008), gli investitori che hanno avuto un orizzonte di investimento di 1 anno, hanno registrato performance positive nel 69% dei casi; questa percentuale sale all’85% su 10 anni e addirittura al 100% su 15 anni. Come dire che la performance di breve periodo in una fase poco rischiosa di mercato è stata surclassata da una maggiore performance a lungo periodo, nonostante tale performance sia derivata da momenti di alti e bassi di mercato.
Grafico 1: MSCI World (1986 – 2017): rendimenti positivi e orizzonte temporale
Il messaggio è chiaro: chi ha orizzonti temporali lunghi ha un forte incentivo ad investire in azioni, indipendentemente dalla propensione al rischio, anzi. il rischio associato a questa asset class nel lungo periodo diventa insignificante o addirittura fallace. L’investimento in questo caso è guidato dal beneficio di rendimenti superiori e le probabilità di avere brutte sorprese sono abbastanza contenute.
Diversa invece la situazione di chi ragiona su orizzonti più brevi. Ci sono due fattori da considerare in questo caso: se l’obiettivo è la crescita del portafoglio, il periodo a disposizione è limitato; se l’orizzonte temporale è breve ed i mercati soffrono una perdita improvvisa, si ha poco tempo o addirittura non c’è il tempo per aspettare il recupero.
È il caso ad esempio di un investitore anziano che intende preservare il patrimonio e poi trasferirlo agli eredi o chi ha liquidità che ha una chiara destinazione d’uso nel breve termine (ad esempio acquisto di una casa) o che deve fungere da cuscinetto in caso di imprevisti.
In questo caso l’obiettivo non è la crescita, ma la preservazione del capitale e quindi occorre ridurre la probabilità che l’investimento sia intaccato in maniera significativa: in parole più semplici bisogna limitare i rischi di perdita. Soluzioni a maggiore volatilità, come le azioni, possono non essere le più adeguate. Nel grafico 2, viene rappresentato l’andamento del MSCI World dalla crisi del 2001 ad oggi. Il periodo è stato particolare ed include due crisi chi ha investito in azioni nell’agosto del 2000, al picco della bolla tecnologica, ha dovuto aspettare più di 13 anni per ritornare in pari. Il market timing, ovvero il periodo in cui l’investitore entra nel mercato azionario, ha effettivamente una rilevanza molto importante.
Chi non si può permettere di ragionare sul lungo periodo deve fare necessariamente riferimento a soluzioni di investimento con un profilo di rischiosità più contenuto, oppure a strumenti che presentino dei meccanismi di protezione del capitale in modo tale da ridurre le potenziali perdite. Non è un caso che indici che misurano la volatilità come il VIX, ad esempio, sono calcolati su un arco temporale di breve termine che va dai 30 giorni all’anno.
Grafico 2: MSCI World (2001 – 2017): tempi di recupero dalla crisi del 2001
Concludendo, vorremmo ricordare che, ai fini del regolamento Emittenti Consob, il prospetto d’offerta del prodotto finanziario assicurativo unit linked deve riportare un’indicazione dell’orizzonte temporale consigliato per i fondi collegati all’investimento.
Da osservare tuttavia che il calcolo richiesto dalla Consob non è direttamente legato al profilo di rischio (soggettivo) del cliente; piuttosto rappresenta una misura oggettiva del tempo necessario per ottenere un rendimento, ovvero di recupero dei costi, rispetto ad un investimento “risk free”.
Come definito da Consob, l’orizzonte temporale d’investimento consigliato è un’indicazione (espressa in anni) del periodo ottimale di permanenza nell’investimento finanziario, da formulare in relazione alle caratteristiche della struttura finanziaria sottostante e dei connessi profili di rischio/rendimento e di onerosità, e tenendo conto delle implicazioni derivanti dall’eventuale presenza di soluzioni tecniche di immunizzazione dei rischi ovvero di garanzie di rendimento minimo dell’investimento finanziario.
Disclaimer:
L’ articolo sopra pubblicato ha il mero scopo di riassumere alcuni concetti empirici e di dottrina finanziaria legati all’orizzonte temporale, elemento presente nelle scelte di investimento di prodotti finanziari, tra cui le unit linked. Pertanto l’articolo non deve essere interpretato come sostitutivo a qualsivoglia disposizione normativa o al ruolo dell’intermediario.