È abbastanza frequente che i mercati finanziari amplifichino i propri convincimenti prima ancora di aver a disposizione tutti i dati possibili per fare valutazioni oggettive di breve, medio o lungo periodo. Ne è un esempio quanto accaduto negli ultimi mesi, quando, di fronte a previsioni di “rallentamento”, i mercati si sono convinti che in realtà ci fosse la “recessione”. La riprova ci è venuta dagli andamenti dei mercati finanziari dell’ultimo trimestre del 2018, culminati con un calo del listino americano di circa il 20%. Sono bastati poi alcuni tweet del presidente americano Donald Trump, in cui veniva evidenziato il basso costo del prezzo delle azioni, e gli interventi di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, sul tema dei tassi di interesse, non più così spinti al rialzo ma in posizione di “pilota automatico” – come è stata definita – che prontamente i mercati hanno completamente riassorbito la pesante caduta.
Le giornate e le settimane rimangono contraddistinte ancora da un alone di incertezza e appare arduo formulare nel breve termine scenari sulle sorti dell’economia mondiale, eppure, stante l’attuale situazione, possiamo comunque individuare molteplici eventuali fattori positivi e incoraggianti.
Un primo elemento di ottimismo di lungo periodo ci viene dall’Asia ed in particolar modo dalla Cina. La locale banca centrale, con la sua politica accomodante per sostenere la ripresa del ciclo economico, pare aver dato i suoi primi frutti, per lo meno osservando i dati relativi alla concessione del credito. Tra le varie iniziative la manovra di abbassamento del coefficiente di riserva obbligatoria per i grandi istituti, ridotto progressivamente dal 17% al 13,75%, ha liberato grandi risorse finanziarie. L’obiettivo dichiarato è quello di sostenere lo sviluppo di una domanda interna dalle potenzialità molto corpose anche in termini di crescita mondiale. Tra l’altro non bisogna dimenticare l’importante piano industriale Made in China 2025 con cui il governo di Pechino intende diventare autosufficiente in tema di alta tecnologia, innescando processi competitivi di stimolo alla stessa area dell’innovazione mondiale.
Rimangono chiaramente sul tavolo due fattori critici: le decisioni che verranno prese in tema di importazione di petrolio dall’Iran e in generale i rapporti commerciali con gli Stati Uniti.
Dal maggio 2018 la produzione petrolifera iraniana è già diminuita di oltre 1 milione di barili al giorno e le esportazioni sono calate di 1,2 milioni di barili. Gli esperti evidenziano come la Cina abbia già accumulato nel frattempo ingenti scorte di petrolio iraniano anticipando la fine delle deroghe. È possibile quindi che le trattative commerciali tra i due grandi giganti dell’economia mondiale possano riguardare anche il tema delle importazioni cinesi del petrolio iraniano. In ogni caso i segnali che ci giungono dalla diplomazia internazionale sono incoraggianti. Una soluzione ai rapporti commerciali USA – Cina di reciproca soddisfazione non potrebbe che rappresentare un elemento di fervido ottimismo di lungo periodo.
Il capitolo del prezzo del petrolio merita poi una nota ulteriore. Da molti osservatori infatti il livello di prezzo del greggio è considerato un fattore positivo, sempre che sia al di sotto di certe soglie. La motivazione alla base di questa interpretazione risiede nel fatto che un prezzo sostenuto evidenzia sovente crescita e domanda in aumento, indicative a loro volte di un’economia in salute.
D’altro canto però esiste anche una correlazione positiva tra prezzo del petrolio e aspettative inflazionistiche. L’attuale andamento del petrolio lascia dunque spazio a diverse interpretazioni. Tra di esse non possiamo dimenticare l’aspettativa di una crescita inflazionistica che deriverebbe necessariamente da una ripresa dell’economia. In poche parole, è come se l’innalzamento del prezzo del petrolio non incorporasse solo le vicende tipiche della legge della domanda e dell’offerta di quel bene, ma anche un’aspettativa di crescita economica superiore alle attese.
Un altro elemento positivo a sostegno del quadro internazionale è rappresentato dalle banche centrali mondiali che paiono voler essere nuovamente di sostegno all’economia reale e ai mercati finanziari. Tutte sono intervenute a cavallo di fine anno con manovre, esplicite o meno, ancora una volta indirizzate ad un nuovo ciclo di minor costo del denaro. Gli analisti più attenti non hanno mai smesso di evidenziare la pericolosità di queste iniziative nel momento in cui dovessero cessare e l’economia nel frattempo non potesse riprendere a correre con le proprie forze con le proprie gambe. E se invece questo fosse il nuovo paradigma? E se, a differenza dal passato, questa fosse la vera e nuova variabile determinante per avere segnali di ottimismo di lungo termine?
La storia ci ricorda che i tassi sono determinanti per alimentare le bolle speculative e per spegnerle, per indirizzare la crescita o contenerla. L’ultimo decennio ci ha insegnato che, da spauracchio, l’inflazione è divenuta una chimera. Le variabili di cui tenere conto non sono però poche. Oggi la spinta demografica richiede politiche delle retribuzioni e del lavoro differenti. L’impatto dell’innovazione tecnologica non può essere trascurato e determina una costante rivisitazione delle necessità fisica dell’uomo nei processi produttivi. La prevalenza, di fatto, di un modello organizzativo e sociale di stampo privato e consumistico ha rivoluzionato le norme, il diritto, anche nei Paesi a maggiore tradizione sindacale. Il ruolo delle banche centrali non può rimanere il medesimo e forse è questo quello a cui stiamo assistendo, quello che le ha portate a proteggere il capitale e una ricchezza media più contenuta ma il più possibile diffusa, riducendo il gap tra il potere di acquisto del lavoratore dei Paesi sviluppati e quello delle economie emergenti.
Viviamo in un mondo splendidamente prospero senza crescita, in cui le banche centrali hanno assistito e in parte sostituito i governi. La loro forza, confermata nella crisi finanziaria degli ultimi 6 mesi, è al momento uno dei fattori di maggior ottimismo.
In questi giorni però il Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato vari elementi di criticità per la crescita globale. In particolare, il FMI ha segnalato tre bolle ben identificate: indebitamento delle imprese, mercato immobiliare e prestiti concessi da aziende non bancarie, fuori dal controllo delle banche centrali. Non sono temi nuovi e sono conseguenze inevitabili del nuovo paradigma. Pur lasciando sul campo tutta una serie di interrogativi, essi non sono così distanti da quelli già posti nel passato, dal 2009 in poi, da quando cioè si è
deciso come affrontare la grande crisi del biennio 2007-2008. Non è possibile nel breve termine dare una risposta se non attraverso una propria e personale visione.
In questo senso, il maggior elemento di ottimismo di lungo periodo è rappresentato dalla possibilità di identificare il luogo ideale per allocare i propri risparmi. Darta Easy Selection può essere una buona soluzione per essere ottimisti. Tramite questa soluzione si può infatti accedere a più di 120 fondi di investimento, compreso un Fondo Protetto, sempre utile in situazioni di mercato turbolente, per ottenere una rivalutazione del capitale, cogliendo al tempo stesso la sua protezione. Alternativamente, avvalendosi del proprio consulente, si può costruire un’asset allocation personalizzata, scegliendo direttamente i comparti o utilizzando uno dei maggiori gestori mondiali all’interno della famiglia Vip Team.