I crescenti timori, diffusisi lo scorso giugno, sulla tangibile escalation della guerra commerciale tra Cina e Usa tutto avrebbero lasciato presagire fuorché l’inarrestabile proseguimento del rialzo degli indici azionari statunitensi. Dopo quella che sarà certamente ricordata come una splendida estate per le azioni americane, i numeri parlano chiarissimo e sciorinano nuovi record assoluti per tutti: l’SP500 è oltre i 2.900 punti, il Nasdaq oltre i 7.500 e il Dow Jones oltre i 26.700 punti.
Superato lo stupore e il compiacimento per un andamento così benigno dei listini d’oltreoceano, occorre però porsi interrogativi cruciali sulla possibile evoluzione futura di questa asset class, tra le più rilevanti tra tutti i portafogli di investimento. L’ultima settimana di settembre sono infatti entrate in vigore nuove tariffe che andranno a interessare beni cinesi per circa altri 200 miliardi di dollari, che vanno ad aggiungersi ai 50 miliardi già colpiti in precedenza dall’amministrazione Trump. Eppure il mercato non sembra al momento preoccupato per le possibili conseguenze negative che nella storia economica si sono sempre accompagnate alle politiche protezionistiche.
Vi sono molte osservazioni che si possono fare. La prima e più immediata è relativa al fatto che comunque l’economia statunitense, per lo meno quella costituita dalle grandi corporation che da tempo hanno collocato parte della propria produzione in Cina, sia già allo studio di nuove location per spostare in altri paesi del sud-est asiatico la produzione dei propri componenti, aggirando la problematica delle sanzioni e contemporaneamente sottraendosi al richiamo di Trump di rientrare a produrre in patria. In questo modo le grandi multinazionali potrebbero mantenere i propri margini, sostenendo sia la crescita degli utili che i corsi di borsa dei propri titoli.
In seconda battuta si potrebbe fare anche un ragionamento favorevole alla stessa Cina, i cui governanti, visto il lieve rallentamento economico in atto, potrebbero riprovare a premere l’acceleratore sullo stimolo fiscale dando sostegno e respiro all’economia, anche se certamente non in misura così sostanziosa come avvenne nel triennio dopo il 2009.
Ciò che probabilmente sta tenendo ancora tutto sospeso sono le elezioni di metà mandato che si terranno a novembre e che daranno un quadro più nitido del sostegno da parte dei cittadini americani a questa amministrazione, anche in merito a questo nuovo protezionismo economico che potrebbe avvitarsi e nuocere a tutti quanti, senza produrre i benefici voluti da Trump. Fino ad ora, infatti, la reazione delle alte sfere politiche cinesi è stata quasi esemplare per quanto pacata e contenuta, come se fossero in attesa di vedere se quelli attuali saranno ancora gli interlocutori con cui si ritroveranno a trattare nei prossimi mesi. Dopotutto, qualora le prospettive future politiche cementassero progressive ritorsioni tra Usa e Cina, altri paesi potrebbero di riflesso beneficiare di nuovi accordi e trattative commerciali favorevoli con Pechino.
L’Europa e i suoi grandi gruppi industriali, in particolare, potrebbero largamente approfittarne. Ad esempio, secondo la testata tedesca “Finanz und Wirtschaft”, il colosso farmaceutico Basf ha da poco annunciato che realizzerà un enorme stabilimento di produzione mantenendone la totale proprietà nel sud della Cina. La notizia è oltremodo stupefacente, visto che sino ad ora il settore chimico è stato tra i più chiusi e regolamentati da parte delle autorità, e probabilmente dimostra che i singoli gruppi che sono riusciti a tessere buoni rapporti con le autorità locali e con il governo centrale cinese potranno in futuro ricavare benefici sino ad ora insperati.
Con tutta questa carne al fuoco e le elezioni di midterm in arrivo a inizio novembre, è lecito chiedersi come possa evolvere lo scenario futuro e come possano comportarsi le varie classi di investimento. I listini americani, al momento sul tetto del mondo, rallenteranno il ritmo di crescita dando luogo a una pausa o addirittura a un fisiologico calo delle quotazioni? Il testimone verrà raccolto da quei mercati che, al contrario di quello americano, sono rimasti invece molto più arretrati, quali ad esempio gli indici azionari europei che oggi veleggiano largo circa sugli stessi valori della scorsa primavera? O verrà addirittura raccolto dai listini asiatici e da quello cinese in particolare, rimasto fortemente penalizzato e attualmente in sofferenza di circa il 15-20% da inizio anno?
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