Annunciati a più riprese, con la legge di bilancio 2016 arrivano i Pir, piani individuali di risparmio, un nuovo strumento di valorizzazione del risparmio a cui sta guardando
anche il settore assicurativo.
Si tratta di una vera novità per l’Italia, mentre all’estero, ad esempio in Francia e Regno Unito, esistono già strumenti simili che hanno anche ottenuto risultati interessanti in termini di raccolta.
Con i Pir il legislatore ha voluto rispondere ad una duplice finalità. Da una parte, incoraggiare il risparmio a medio e lungo periodo delle persone fisiche, che possono investire in azioni, obbligazioni, fondi, persino conti corrente, stipulando il proprio Piano e beneficiando di esenzioni dalle imposte sulle rendite finanziarie.
Dall’altra parte, si è cercato uno strumento per far confluire capitale nell’economia reale. Caratteristica dei Pir, infatti, è la destinazione di investimenti verso le piccole e medie imprese Italiane. Se dovessero decollare, si faciliterebbe la raccolta di capitali a favore del tessuto economico nazionale, sgravando nel contempo i piccoli risparmiatori del carico fiscale sui proventi finanziari.
Il condizionale è, però, d’obbligo, perché i Pir nascono con luci ed ombre.
Destinatari, requisiti, benefici fiscali: cosa c’è da sapere sui Pir
I Pir sono pensati specificatamente per le persone fisiche che risiedono in Italia. Non possono essere sottoscritti, quindi, da persone giuridiche.
Primo passo della costituzione di un Piano di risparmio di lungo termine è l’apertura di un rapporto di custodia, amministrazione e gestione portafogli o polizze di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione. Si stipula, quindi, il contratto con intermediari abilitati residenti o non residenti ma operanti sul territorio in stabile organizzazione o libera prestazione di servizi.
I vantaggi fiscali, particolarmente interessanti, hanno portato il legislatore a porre un limite ben preciso sul numero di Piani sottoscrivibili: ciascuno può avere solo un Pir, per altro non cointestabile.
È prevista, infatti, l’esenzione da tassazione dei redditi, qualificabili come redditi di capitale o come redditi diversi di natura finanziaria, derivanti dagli investimenti effettuati nel Pir, con l’esclusione delle partecipazioni qualificate.
I Pir sono pensati per piccoli e medi risparmiatori, tanto che la soglia minima di accesso è di 500 euro. I requisiti del Piano, da rispettare per beneficiare delle esenzioni fiscali, sono:
- periodo minimo di investimento: 5 anni;
- investimento massimo annuo: 30.000 euro;
- investimento massimo complessivo: 150.000 euro.
Altra caratteristica dei Pir è l’allocazione delle risorse. Il 70% del capitale deve essere destinato ad un qualsiasi strumento finanziario emesso o stipulato con imprese residenti in Italia, in Stati membri dell’UE o in Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo. Di questo 70%, il 30% (pari al 21% del totale) deve essere investito in strumenti finanziari emessi da società italiane ed estere (UE e SEE) con stabile organizzazione in Italia diverse da quelle rilevanti ai fini del FTSE MIB o di altri indici equivalenti.
Flessibilità, invece, sul restante 30%, che può essere investito in qualsiasi strumento finanziario, incluso depositi e conti correnti.
Per favorire la diversificazione del portafoglio, non si può destinare più del 10% ad un solo emittente o una sola società.
I benefici fiscali vengono accordati solo se tutti questi requisiti (durata dell’investimento, importi, allocazione) sono rispettati per almeno i 2/3 dell’anno solare di riferimento.
Cosa accade se si riscatta l’investimento prima dei 5 anni? Come si diceva, chi investe nei Pir non subisce nessuna tassazione sui rendimenti ottenuti. Tuttavia, in caso di riscatto anticipato rispetto ai 5 anni richiesti come minimo per l’investimento si subisce una penalizzazione fiscale pari al pagamento della tassazione ed interessi secondo le regole ordinarie, ma in assenza di sanzioni.
Pir, luci e ombre per il settore assicurativo
Lungi dall’essere appannaggio del risparmio gestito, i Pir potrebbero essere di natura assicurativa. Un risparmiatore potrebbe addirittura aprire da sè un conto ed investire su strumenti che siano in linea con la normativa Pir, ma capire se e quali siano i prodotti giusti non è così semplice, per questo sarà fondamentale una maggiore delucidazione da parte del legislatore, e l’expertise di chi opera nel settore.
L’esenzione dalle tasse dei rendimenti dei Pir ha indubbiamente appeal per i risparmiatori, ed in questo senso possono essere un’opportunità per le imprese assicurative, che possono costruire un prodotto per il cliente “peace of mind” in termini di investimento ottimale e diversificazione degli asset.
In linea generale, i benefici fiscali riservati a questi strumenti, uniti a quelli tipici delle polizze vita (esenzione dalle tasse di successione – elemento comune con i Pir –
impignorabilità, insequestrabilità), ne fanno delle opportunità di investimento particolarmente appetibili.
Ci sono, tuttavia, dei nodi da sciogliere.
Innanzitutto, quale veste si può dare ai Pir? Possono ad esempio le polizze del ramo I, prodotti a rendimento garantito, conciliarsi con strumenti esposti a maggior rischiosità?
Punto nodale è che i vincoli di composizione del portafoglio (70% in strumenti finanziari anche non negoziati,21% del totale in società diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib), rendono impraticabile la via dei Pir per le polizze vita tradizionali, che devono sottostare a stringenti limitazioni di carattere regolamentare quanto a diversificazione e rischio degli investimenti, a meno che una “deroga” venga concessa alle attuali norme Ivass in materia di investimento assicurativo.
La stessa presidente di Ania, Maria Bianca Farina, sentita in audizione alla Commissione bilancio di Camera e Senato, aveva evidenziato che la “formulazione rende impossibile l’accesso al regime fiscale agevolato dei Pir ai sottoscrittori dei prodotti assicurativi tradizionali, ossia i prodotti rivalutabili a rendimento minimo garantito di ramo I e V”.
Tra i nei, secondo l’Ania, c’è l’aver limitato a cinque anni il vincolo di permanenza nell’investimento, un orizzonte temporale breve rispetto alle necessità delle imprese da finanziare.
In attesa del chiarimento da parte del legislatore, secondo diversi osservatori, l’ipotesi più probabile è che si utilizzino, soprattutto nella prima fase, le polizze ramo III (unit linked) o le polizze multiramo che mixano il Ramo I (anche già esistente e utilizzabile per il 30% investibile liberamente) con il ramo III (usato per il 70%).
Altro punto critico, evidenziato da Paolo Galvani, presidente e co-founder di Money Farm, è “il rischio specifico generato dalla presenza nel portafoglio di strumenti emessi da imprese italiane a piccola e media capitalizzazione. Questi strumenti sono generalmente molto volatili e poco liquidi. Essere vincolati a questo tipo di prodotti per lungo tempo vuol dire condannare il proprio investimento a livelli di rischio eccessivi, con grande probabilità di intaccare il proprio capitale”. Si può chiedere il riscatto, ma in quel caso le rendite sono tassate: una condizione che rischia di rendere poco appetibile il prodotto. Inoltre, ancorare l’investimento alle imprese con sede in Italia significa legare i risparmi ai rischi del sistema italiano.
Se questi sono i dubbi più consistenti, che riguardano “il concept” dei Pir, ci sono poi dei nodi più operativi e pratici.
Per quanto riguarda le Pmi destinatarie dell’investimento, che secondo la normativa devono avere una stabile organizzazione in Italia, c’è da chiarire se sia sufficiente avere una sede legale nel nostro Paese, una succursale o se sia necessaria la presenza di una sede operativa in Italia. Un nodo che sarà sciolto dall’Agenzia delle Entrate.
Da Consob si attendono alcuni chiarimenti sulle politiche di investimento, che devono essere ben evidenziate nel prospetto informativo, per evitare che si utilizzi il termine Pir solo a scopo di marketing.
Altro nodo è la possibilità di switchare, ovvero passare da un Pir ad un altro della stessa società o di altro emittente. Cosa accade se lo spostamento avviene prima dei 5 anni dal punto di vista fiscale? Ma anche costi, operatività sul trading e limitazione di arbitraggi tra prodotti sono a tutt’oggi punti oscuri.
Per quanto riguarda i sottoscrittori, se è assodato che ogni persona fisica possa avere un solo Pir, non c’è altrettanta chiarezza sulla possibilità di aprire diversi Piani intestati ai componenti di una stessa famiglia.
In sintesi, i Pir rappresentano nuove opportunità anche per il settore assicurativo, perché i benefici fiscali sono particolarmente allettanti per i piccoli e medi risparmiatori oppure non lo sono perché per la prima volta il legislatore ha in un certo senso trasferito dei vantaggi assicurativi al mondo del risparmio? Gli operatori del settore sono già al lavoro, ma per “entrare in partita” saranno fondamentali i chiarimenti che si attendono da più parti per rispondere alle ultime incognite.