La Banca Centrale Europea si appresta a deporre il suo ‘bazooka’, termine con cui era stato ribattezzato il Quantitative Easing, il massiccio programma di acquisto di obbligazioni avviato nel marzo del 2015.
Al tempo, l’istituto guidato da Mario Draghi, preoccupato per la spirale deflazionistica e per la stagnazione dell’economia europea, decise di avviare l’acquisto di titoli di Stato con vita residua tra 3 e 30 anni, bond sovra-nazionali e bond di enti della pubblica amministrazione, al ritmo di 60/80 miliardi al mese. Ciò ha portato un’iniezione di liquidità di 2.500 miliardi di euro nei Paesi europei.
Tre anni dopo, gli obiettivi di quella operazione sembrano centrati. L’inflazione ha raggiunto quota 1,9%1, vicino al valore target del 2%, e l’economia europea sembra in ripresa, con una crescita che, nel 2017, è stata sopra le aspettative (+2,7% del PIL)2. L’andamento del primo trimestre 2018 conferma il trend positivo, seppure con un rallentamento3 rispetto agli ultimi due trimestri del 2017, che va interpretato come un calo fisiologico dopo i dati record dell’anno precedente.
Uno scenario, dunque, positivo, a cui ha contribuito non poco la politica monetaria della BCE, che ha consentito di tenere bassi i tassi d’interesse, favorendo gli investimenti pubblici e privati e dando respiro a Stati fortemente indebitati come l’Italia, che ha risparmiato quasi 70 miliardi di interessi sul debito pubblico.
Ora, l’operazione che ha creato queste condizioni positive si avvia alla conclusione4. Nel 2018, il Quantitative Easing è stato dimezzato, poiché si è passati da 60 a 30 miliardi di euro al mese. A ottobre si è scesi a 15, e si arriverà a zero nel 2019.
Le criticità: il “caso” Italia e il rallentamento dell’economia europea
Finito il Quantitative Easing, ogni Paese dovrà vedersela da solo con gli investitori internazionali quando si tratterà di collocare i titoli di Stato nelle aste di vendita: più uno Stato sarà credibile nella capacità di onorare i debiti, più i mercati saranno disponibili ad acquistare i suoi titoli.
Gli occhi sono puntati soprattutto sull’Italia, che, con un debito pubblico da oltre 2.302 miliardi di euro, potrebbe essere presa di mira dai mercati. Se ci fosse qualche avvisaglia di instabilità politica o dati negativi sul fronte dell’economia, gli investitori potrebbero scommettere sull’incapacità del Paese di ripagare il debito e decidere di non acquistare titoli di stato o di vendere quelli in loro possesso, scatenando una crisi finanziaria che si ripercuoterebbe sull’economia reale. E poiché l’Italia resta comunque una delle economie più forti del continente, si rischierebbe una serie di reazioni a catena che creerebbero instabilità nell’Eurozona.
All’orizzonte c’è la possibilità che il debito italiano sia acquistato in buona parte dalla Cina, dove, a fine agosto, il ministro dell’economia Giovanni Tria si è recato in missione.
Altra ripercussione della fine del Quantitative Easing sarà l’incremento dei tassi di interesse, che, senza l’iniezione di liquidità, tenderanno naturalmente a salire. Il timore è che ciò possa rallentare la crescita economica, bloccando gli investimenti, in uno scenario internazionale peraltro costellato da nuove sfide geopolitiche e dalle politiche protezionistiche degli Stati Uniti.
Di sicuro, i mercati finanziari non apprezzano uno scenario con un’inflazione in rialzo e una crescita economica bassa, e questa tendenza può suonare come campanello d’allarme per tutti gli investitori, che potrebbero portare i capitali altrove.
Finisce il QE, ma prosegue la politica accomodante della BCE
Il “caso” Italia e i timori per la crescita economica potrebbero esplodere in tempi brevi, se il Quantitative Easing terminasse in maniera netta e definitiva.
In realtà, proprio alla luce delle criticità esistenti, la BCE ha deciso di non abbandonare la politica monetaria accomodante. Esaurito il QE, la Banca Centrale Europea riacquisterà i titoli già in possesso (per l’Italia parliamo di 356 miliardi di euro) e prossimi alla scadenza, confermando così l’investimento iniziale e garantendo stabilità ai titoli di stato.
Sul fronte dei tassi di interesse, a Francoforte si adotteranno misure per mantenerli invariati almeno fino a giugno 2019. La data del primo rialzo dal novembre 2011 sarà comunque decisa dopo una verifica sull’andamento dell’economia e dell’inflazione.
Queste due scelte consentono di dire con un buon grado di certezza che, almeno nell’immediato, la fine del Quantitative Easing non comporterà grosse variazioni nell’Eurozona e che i rischi per Paesi fortemente indebitati e per il rallentamento dell’economia dovrebbero essere contenuti.
Si tratta di una grossa rassicurazione per i mercati, in un’Europa che, nella primavera del 2019, sarà interessata dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, con le incognite di una vittoria degli euro-scettici.
Tutte le scelte della Bce valgono di sicuro fino ad ottobre 2019, quando scadrà il mandato di Mario Draghi. Resta da vedere se il successore seguirà la stessa linea o se, al contrario, perseguirà una politica monetaria più restrittiva.
Aumento dei tassi d’interesse: le conseguenze
L’aumento dei tassi di interesse è solo rimandato, ma sarà prima o poi inevitabile. Quando si verificherà, a fine 2019 o nel 2020, ci saranno dei riflessi anche molto pratici nella vita delle famiglie e delle aziende.
I consumatori non potranno più godere degli attuali tassi favorevoli dell’Euribor e dell’IRS, indicatori utilizzati per il calcolo dei tassi dei mutui, tanto che gli analisti iniziano a consigliare a chi ha un mutuo a lungo termine a tasso variabile di fare il passaggio al tasso fisso, per garantire l’attuale indice, molto conveniente.
Per le aziende, indebitarsi avrà un costo maggiore e ciò potrebbe rappresentare una frenata agli investimenti, che sono però veicolo principale di innovazione e crescita.
Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, gli Stati non potranno più permettersi piani di interventi a costi relativamente ridotti perché gli interessi sui titoli non saranno più alleggeriti dal Quantitative Easing.
Sul fronte della gestione del risparmio e degli investimenti, l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato che non saranno riacquistati dalla Bce potrebbe allettare gli investitori che, in questi anni, si erano allontanati dai bond preferendo l’azionario, più redditizio.
Ci potrebbe quindi essere un riposizionamento dei portafogli verso titoli di stato, obbligazioni e fondi, ritenuti più certi. Ciò comporterebbe una vendita massiccia di partecipazioni in capitali di rischio che determinerebbe una certa volatilità nei mercati. Questa, a sua volta, potrebbe spaventare chi non era intenzionato a tornare sull’obbligazionario, innescando una reazione a catena.
In una situazione complessa e soggetta a tante variabili (andamento dell’economia, decisioni della BCE, scenario internazionale), come quella che si profila dopo la fine del QE, l’errore da evitare è quello di agire sull’onda dell’emotività, senza affidarsi a professionisti del risparmio che sappiano valutare la migliore composizione del portafoglio.
1. http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2018/06/15/ue-19-eurostat-conferma-salita-inflazione-a-maggio-19_34b2be94-83f1-4a9f-858f-67c8ae89395d.html
2. https://it.euronews.com/2018/01/30/zona-euro-economia-in-crescita-nel-2017
3. https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-05-02/rallenta-crescita-europa-e-scricchiola-anche-forza-ripresa-italia-125353.shtml?uuid=AE7iVchE
4. https://www.corriere.it/economia/18_giugno_14/annuncio-bce-2019-stop-quantite-easing-2d24e5aa-6fc9-11e8-b9b6-434f28412ff9.shtml