La storia della consulenza finanziaria è stata caratterizzata da una serie di trasformazioni legate a grandi eventi economici, cambiamenti sociali, sviluppo di nuove tecnologie.
Se nella sua fase embrionale la consulenza finanziaria è stata connotata da una certa semplicità, come professione legata più strettamente alla commercializzazione di prodotti di gestione del risparmio, nel corso dei decenni si è evoluta diventando un’attività sempre più complessa, finalizzata ad offrire al cliente un servizio per la gestione del suo patrimonio.
Questa evoluzione è destinata a proseguire, sulla scia di tre driver principali1, tra loro interconnessi, ovvero:
- la normativa, che assegna un nuovo ruolo sociale alla consulenza finanziaria;
- la demografia, le cui dinamiche stanno trasformando l’identikit degli investitori;
- la tecnologia, che può rendere più efficiente il lavoro del consulente oppure creare una nuova concorrenza.
La normativa sulla consulenza finanziaria
La direttiva europea Mifid II, entrata in vigore a gennaio 2018, è l’ultimo step della normativa sulla consulenza finanziaria ed ha l’obiettivo di sviluppare un unico mercato europeo dei servizi finanziari offrendo le massime tutele per gli investitori e i risparmiatori.
Come quasi sempre è accaduto nella storia della normativa sulla consulenza finanziaria – la prima regolamentazione della professione nacque negli Stati Uniti dopo la Grande Crisi del 1929 – l’impulso al legislatore europeo è scaturito da un momento di crisi, in particolare quello del 2007-2008, che ha dimostrato come l’interconnessione dei mercati finanziari internazionali porti all’aumento dei rischi sistemici.
Tuttavia, per comprendere la portata di Mifid II ed il suo impatto sulla professione di consulente finanziario, è utile fare un passo indietro per capire come siamo arrivati fino a qui.
L’evoluzione verso Mifid I
In Italia, è nel 1991 che arriva la legge (la numero 1) che riconosce la figura definita del promotore finanziario e ne istituisce un albo presso la Consob, a tutela di professionisti e risparmiatori.
L’Europa, però, rimescola le carte due anni dopo, con la direttiva 93/22 (Investment Service Directive, recepita in Italia con D.Lgs. 415/1996, detto anche Eurosim) che riclassifica l’attività di consulenza in materia di servizi d’investimento come accessoria, strumentale al collocamento del prodotto o servizio, e di fatto la liberalizza, aprendola anche ai non professionisti.
Negli anni 2000, gli effetti su vasta scala di alcune crisi importanti (la bolla speculativa legata ai titoli tecnologici nel 2001, alcuni crack celebri come quello del colosso americano dell’energia del 2001), l’introduzione della moneta unica ed il rapido sviluppo dei mercati finanziari fanno nascere l’idea di un mercato unico dei servizi finanziari in ambito europeo. Si arriva così, nel 2004, a Mifid (Market in Financial Instruments Directive, recepita in Italia nel 2007), la prima vera regolamentazione di grande portata che ha istituito regole comuni per gli intermediari, in ambito finanziario europeo.
Mifid introduce la riserva di attività della consulenza, praticabile quindi solo dagli autorizzati come previsto dalla legislazione pre-Eurosim. Un ritorno al passato reso necessario alla luce della complessità dei mercati e dal fatto che i clienti, soprattutto quelli retail, hanno sempre più bisogno di una guida esperta per orientarsi nel vasto mondo dei servizi finanziari.
Mifid II
Tuttavia, la crisi del 2008 evidenzia come le regole di Mifid non siano sufficienti a evitare ripercussioni per i risparmiatori: da qui nasce Mifid II, che ruota attorno alla necessità di tutelare l’investitore.
In pratica si riconosce che la crescente complessità sul lato dell’offerta di prodotti sempre più sofisticati, unita all’impatto delle tecnologie informatiche e ai mutamenti macro-economici, politici e sociali in atto, potrebbe accrescere l’asimmetria informativa tra gli operatori dei mercati e gli investitori, specie se non professionali. A lungo andare, i risparmiatori potrebbero essere portati a perdere la fiducia, e l’insoddisfazione potrebbe ripercuotersi sulla propensione all’investimento. In questo contesto, Mifid II assegna al consulente finanziario l’importante compito di aiutare a superare i non professionisti ad avere tutte le informazioni necessarie per fare delle scelte consapevoli, diventando quindi figura strategica per il mercato finanziario.
Rispetto alle normative precedenti, che si erano limitate a riconoscere la professione e a definire requisiti e compiti, Mifid II dà un ruolo di grande impatto sociale alla consulenza finanziaria, che diventa attività centrale nel sistema che lega la clientela con la produzione e la distribuzione.
La normativa ha quindi creato un ambiente che favorisce un approccio nuovo e moderno all’attività consulenziale, intesa come un servizio al cliente che ha non solo l’obiettivo di creare valore per l’investitore, ma anche la responsabilità di mantenere il rapporto di fiducia tra investitori e operatori finanziari.
Contesto socio-culturale e andamenti demografici: come cambia il mercato?
Come servizio alla persona, la consulenza finanziaria è particolarmente sensibile a tutto ciò che influenza il modo di percepire la pianificazione patrimoniale.
In Italia, la storia della consulenza finanziaria ininzia sulla fine degli anni ‘50, quando i primi prodotti finanziari vengono importanti dagli Stati Uniti. Tuttavia, rispetto al contesto americano, caratterizzato da una forte propensione dei privati a costruirsi un proprio welfare e da un’elevata alfabetizzazione finanziaria, il contesto italiano è caratterizzato dalle forti garanzie dello Stato sul piano del welfare (pensioni, sanità, assistenza). La scarsa propensione ad una pianificazione finanziaria, unita all’andamento di un’economia altalenante che non permette la crescita del risparmio delle famiglie, spiegano perché per diverso tempo la figura del consulente finanziario resta piuttosto marginale in Italia, tanto che si deve aspettare il 1991 per un riconoscimento giuridico.
In questo contesto, la pianificazione finanziaria viene intesa per lo più come la gestione del surplus di risorse accantonate negli anni, con una clientela per lo più in età adulta che aveva a disposizione patrimoni importanti.
Il progressivo ritiro dello Stato dal welfare, avviato con le grandi riforme su pensioni e sanità a partire dal 1992, ha innescato anche in Italia, soprattutto tra i giovani che sono le fasce più escluse dalle tutele pubbliche e quelle più vulnerabili alle difficoltà del mercato del lavoro, la necessità di pensare ad una pianificazione patrimoniale di lungo periodo, con una gestione efficiente delle risorse disponibili.
L’andamento demografico rende sempre più evidente questa dinamica: in Italia, l’aspettativa di vita aumenta, ma al contempo il tasso di natalità è vicino allo zero. Ciò comporterà un sempre maggiore disequilibrio tra chi può contribuire, col suo lavoro, a coprire le spese del welfare state, e chi ne usufruirà. Se le entrate saranno minori delle uscite, sarà inevitabile che ciascuno dovrà prima o poi pensare da sé alla propria salute, pensione o alla tutela dai puri rischi.
Con il passaggio della ricchezza dalla generazione dei baby boomers (nati tra il 1945 e il 1965, che si apprestano o sono già in età pensionistica) alle coorti più recenti (generazione X e Millennials), l’attenzione ad una programmazione patrimoniale del ciclo di vita sarà sempre più importante.
Se con i baby boomers l’attività di consulenza è stata improntata ad una logica di investimento del denaro accumulato, la diminuzione delle tutele statali richiederà una consulenza che offra più “opzioni di futuro”, con soluzioni a contenuto assicurativo ed investimenti di scopo, ad esempio per la previdenza pensionistica, in un’ottica di illuminazione sui rischi della vita e protezione della fase più delicata, qual è la vecchiaia.
Innovazione tecnologica: minaccia o opportunità?
La diffusione della tecnologia nei mercati mobiliari, negli anni ‘90 e nel nuovo millennio, è stata alla base dell’integrazione dei mercati europei, perché ha aperto la possibilità di svolgere intermediazione indifferentemente in qualsiasi Stato, tanto che è stato necessario fissare dei requisiti armonizzati a tutela degli investitori.
Oggi, l’innovazione tecnologica impatta in due modi sulla consulenza finanziaria.
Il primo riguarda la diffusione di informazioni che un tempo restavano riservate, o perché molto tecniche o perché relative alla sfera relazionale.
Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di conoscere e confrontare, tramite i siti web istituzionali, le schede dei prodotti offerti da diversi operatori finanziari ed assicurativi. C’è poi tutto l’aspetto della interazione con utenti che hanno già fatto esperienza di un prodotto o di un servizio e che possono quindi influenzare il processo decisionale di chi si sta “guardando intorno”.
Prima dell’avvento di Internet e dei social, il consulente era il punto di riferimento dell’investitore. Oggi quest’ultimo può facilmente accedere ad una molteplicità di informazioni e confrontarsi con altri utenti, lasciando a sua volta un feedback sulla sua esperienza ed influenzando, così, a sua volta, il processo decisionale di altri.
Come impatta questo sulla consulenza finanziaria? Si potrebbe pensare che, con una pluralità di fonti informative a disposizione, l’investitore possa quasi affrancarsi dal consulente. In realtà, l’overload informativo, sia da fonti “ufficiali” che dal confronto con altri utenti, in genere crea disorientamento e, in un ambito delicato quale la gestione e pianificazione patrimoniale, il consulente diventa sempre più un punto di riferimento. Probabilmente non sarà più lui a fornire le informazioni tecniche su singoli prodotti, facilmente reperibili online attraverso anche dispositivi mobili, ma, all’interno di un rapporto più paritario, dovrà occuparsi di fornire le indicazioni per una scelta consapevole, coerente con aspettative ed esigenze dell’interlocutore, e libera dalle suggestioni emotive che potrebbero portare a comportamenti irrazionali.
Altra sfida posta dalla tecnologia è la presenza di programmi informatici che svolgono la funzione di advisory. Complici la diffusione degli smartphone e l’avvento dei Millennials nel mondo della gestione dei patrimoni, circa una decina di anni fa hanno fatto la loro comparsa i robo-advisor, strumenti di consulenza totalmente (o quasi) virtuale, che profilano il cliente, definiscono l’asset allocation e monitorano gli investimenti attraverso algoritmi automatici. Questi software sono semplici da usare e accessibili a tutti con costi contenuti, ma il dibattito sulla capacità dei robo-advisor di sostituire la consulenza finanziaria “in carne ed ossa” è ancora in corso. Allo stato attuale dello sviluppo, per esempio, questi strumenti non riescono ad arrivare a proposte altamente personalizzate.
Chi vincerà tra uomo e macchina? In realtà, non necessariamente si deve pensare ad uno scontro. L’interesse di importanti operatori finanziari verso questo mondo testimonia che la nuova frontiera potrebbe essere quella del consulente hi-tech, che usa i robo-advisor per automatizzare alcune fasi del processo consulenziale, migliorandolo. Con questi strumenti, ad esempio, si possono analizzare molti più dati di quanto non possa fare una persona, per una migliore profilazione del cliente, oppure si possono monitorare gli investimenti e suggerire le azioni per ribilanciare i portafogli, nel rispetto dei vincoli di adeguatezza e seguendo le strategie dettate dal consulente.
La tecnologia, quindi, può fornire nuovi strumenti alla consulenza finanziaria e migliorare il lavoro dei professionisti. È un cambiamento che bisogna saper gestire, per non rischiare di esserne sopraffatti, ma la persona resterà centrale, in un rapporto che è basato sulla fiducia e sulla credibilità.
Il futuro della consulenza finanziaria
Alla luce delle dinamiche in corso nell’ambito della normativa, della tecnologia e degli andamenti demografici e sociali, si può prevedere che il ruolo del consulente finanziario diventerà, nei prossimi anni, sempre più importante e riconosciuto per la sua valenza anche sociale.
Il rapporto col cliente stesso è destinato a cambiare: si avrà a che fare con persone sempre più informate, inserite in un contesto globale, abituate ad una personalizzazione elevata di prodotti e servizi, che vogliono partecipare alla gestione del proprio patrimonio. Come abbiamo visto, in questo contesto il consulente finanziario troverà nella tecnologia un alleato prezioso per affrontare il futuro.
Il ruolo di custode del rapporto di fiducia tra operatori finanziari ed investitori e le sfide di un mercato in grande evoluzione, sempre più proteso verso la pianificazione globale del ciclo di vita, fanno del consulente finanziario una figura chiave. Una corretta pianificazione finanziaria, infatti, contribuisce a mantenere la stabilità economica delle famiglie e, con essa, la tenuta sociale di un Paese.
1. Mauro Panebianco, L’industria dell’asset managementn el 2020, https://www.pwc.com/it/it/industries/asset-management/assets/docs/pwc-advisory-wealth-management-2020.pdf