Le catastrofi naturali degli ultimi anni e il rapido innalzamento delle temperature hanno portato all’evidenza dell’opinione pubblica il problema del cambiamento climatico, facendolo uscire dalla stretta cerchia degli addetti ai lavori in cui per decenni era rimasto confinato, e hanno imposto ai governi e alle organizzazioni internazionali la ricerca di strategie per ridurre le emissioni di gas serra.
Tuttavia, se è ormai condivisa la consapevolezza delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla salute e il benessere delle persone, la valutazione dei loro effetti sul sistema finanziario sconta ancora la difficoltà nel concettualizzare il legame tra fenomeni ambientali, economia reale e sistema finanziario.
Eppure è evidente come gli eventi naturali di grande intensità possano, ad esempio, danneggiare il capitale fisso, ridurre la capacità produttiva e limitare la possibilità di onorare gli impegni con i debitori. Anche le decisioni in termini di politiche energetiche, inoltre, possono avere importanti ricadute sul valore degli attivi delle società.
Emergenza climatica, le cause e la risposta della comunità internazionale
Il cambiamento climatico è legato essenzialmente alle emissioni di gas che derivano da attività antropiche e che, modificando la composizione chimica dell’atmosfera, incrementano l’effetto serra naturale provocando un aumento diffuso delle temperature.
Il gas che piú di tutti contribuisce a questo fenomeno è l’anidride carbonica, seguita dal metano (prodotto dalle discariche, dall’agricoltura e dall’allevamento), dal protossido di azoto (proveniente da fertilizzanti) e da altri gas usati per la refrigerazione e nei processi industriali. La concentrazione elevata di questi gas nell’atmosfera porta al riscaldamento globale, ovvero a una variazione statisticamente significativa delle temperature medie.
I modelli climatici elaborati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite indicano un potenziale aumento della temperatura globale, durante il XXI secolo, compreso tra 1,4 e 5,8 °C.
Guardando all’Italia, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha indicato il 2018 come l’anno più caldo dal 1961, con un aumento di +1,77° C rispetto alla media del periodo 1961-1990. Addirittura, secondo studi che ricostruiscono il clima in un passato più remoto, il 2018 potrebbe essere stato l’anno più caldo degli ultimi due secoli.
L’aumento delle temperature provoca fenomeni siccitosi, con carenza di risorse idriche: basti pensare che nel 2017 in Italia la precipitazione cumulata media è stata di quasi un quarto (22%) al di sotto della norma. Inoltre, il riscaldamento globale crea le condizioni per il verificarsi di frequenti eventi meteorologici estremi. Soprattutto nella fascia meridionale del continente europeo, in cui rientra anche l’Italia, ci si aspetta per il prossimo futuro un incremento degli eventi calamitosi, quali esondazioni, alluvioni e incendi di boschi e foreste.
Per cercare di rispondere a questa emergenza, 195 nazioni hanno adottato nel dicembre 2015 l’Accordo di Parigi, che ha posto l’obiettivo di “limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sopra i livelli del periodo pre-industriale”. In questo quadro vanno letti i Piani Nazionali Energia e Clima elaborati dai governi in base alla strategia indicata dall’Unione Europea per la decarbonizzazione.
Entro il 2030, ad esempio, l’Italia1 punta a ridurre del 56%, rispetto al 2005, le proprie emissioni nel settore della grande industria e della produzione elettrica, a fronte di un obiettivo europeo del 43%. Negli altri ambiti, quali trasporti e agricoltura, si punta a ridurre le emissioni del 35%. Sempre entro tale data, si cercherà inoltre di arrivare a una copertura dei consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili del 30%, rispetto all’attuale 18%.
Il Climate-Related Financial Risk
Tanto i fenomeni climatici quanto le strategie messe in atto per mitigarne gli effetti e ridurne le cause possono riflettersi sul sistema finanziario. Si parla così di Climate-Related Financial Risk, che comprende almeno due tipologie di rischio, quello fisico e quello di transizione.
Il rischio fisico
Le catastrofi ambientali come alluvioni, inondazioni e incendi causati dalla siccità comportano un rischio fisico, in quanto, in proporzione alla loro violenza, possono portare alla distruzione di abitazioni, capannoni, impianti industriali e strutture che erogano servizi pubblici o privati.
Il danneggiamento dei beni immobili accresce la vulnerabilità economica e finanziaria di chi subisce l’evento. Per poter ricostruire quanto distrutto, infatti, in assenza di copertura assicurativa, i proprietari dovranno ricorrere ai risparmi – indebolendo dunque il patrimonio da destinare agli investimenti per il futuro – oppure all’indebitamento. L’accesso al credito, tuttavia, potrebbe non essere così semplice, perché, proprio i danni subiti compromettono il valore dei beni da offrire come garanzia e, per non ritrovarsi con crediti non performanti, le banche potrebbero restringere i finanziamenti a imprese o famiglie localizzate nelle aree più a rischio, potenzialmente influendo anche sull’efficacia del canale del credito della politica monetaria.
Se i soggetti colpiti dagli eventi sono coperti da polizze, gli effetti potrebbero pesare sulla situazione finanziaria delle compagnie assicurative. A sua volta, il deteriorarsi della posizione delle assicurazioni potrebbe influire sulla stabilità dei mercati se queste dovessero interrompere l’erogazione di alcuni servizi o se i loro titoli si svalutassero bruscamente, influendo negativamente sui bilanci di altre istituzioni finanziarie che li detengono nei loro portafogli, come banche o investitori istituzionali.
Ad aggravare la vulnerabilità economica, ci potrebbe anche essere l’impossibilità di riprendere l’attività lavorativa o produttiva per periodi più o meno lunghi. Lo stop forzato di una o più aziende rischierebbe di avere ripercussioni non solo sui bilanci delle stesse imprese, ma anche sui lavoratori, sui fornitori, sull’indotto, sui clienti, ma anche – di nuovo – sulle banche, che sarebbero esposte al rischio di insolvenza dei debiti pregressi. Se poi l’area colpita fosse particolarmente estesa, potrebbe essere messo in crisi il sistema economico di un intero territorio.
L’impatto dei cambiamenti climatici sulla finanza, dunque, è tutt’altro che lieve. In uno studio del 20162, si stima ad esempio che le attività finanziarie esposte ai rischi fisici, in assenza di ulteriori misure di mitigazione rispetto a quelle attese, sarebbero in un intervallo compreso tra i 2.500 e i 24.200 miliardi di dollari.
Il rischio di transizione
Anche le politiche messe in atto dalla comunità internazionale per contenere le emissioni di gas serra possono impattare sulla finanza nella misura in cui hanno ricadute sul valore degli attivi delle società coinvolte. In questo caso si parla quindi di rischio di transizione verso un’economia low-carbon, che potrebbe ridurre bruscamente – se non opportunamente governata – il valore delle riserve energetiche e delle infrastrutture legate all’estrazione, la trasformazione, l’utilizzo e il trasporto di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. Si stima3 che le perdite delle attività di questo settore possano ammontare a 1.000-4.000 miliardi di dollari.
Vista la rilevanza dei settori energetici, il rischio potrebbe essere dirompente, perché un improvviso calo nel valore di queste riserve e delle infrastrutture connesse potrebbe innescare una corsa alla cessione dei titoli delle società energetiche con conseguenze che potrebbero incidere in modo permanente sulla crescita economica globale, portando addirittura a prospettare una nuova crisi come quella innescata dai mutui subprime.
Inoltre, l’introduzione repentina di fonti energetiche alternative, che al momento sono più costose, o di sistemi carbon pricing, che penalizzano chi produce energia con il carbone (si pensi all’istituzione della carbon tax), potrebbe generare una spinta inflazionistica. In un mercato in cui la domanda di energia è inelastica – almeno nel medio periodo – ciò significherebbe un brusco aumento dei prezzi dell’energia, che potrebbe accrescere la vulnerabilità finanziaria di imprese e famiglie.
Rispetto al rischio fisico, quello di transizione è più facilmente contenibile attraverso una politica internazionale e nazionale di gestione del passaggio ad un’economia low-carbon. Tuttavia, qualora dovesse verificarsi, sarebbe anche più pericoloso di quello fisico, perché potrebbe interessare interi settori economici (costruzioni, produzione e distribuzione di energia), trasmettendosi rapidamente al sistema finanziario con conseguenze per azionisti, obbligazionisti, creditori.
Clima e finanza: quali prospettive?
Il preoccupante quadro relativo all’emergenza climatica porterà sempre di più gli attori finanziari ad inglobare, nelle proprie strategie, il Climate-Related Financial Risk. In questa direzione, del resto, spingono le raccomandazioni pubblicate nel 2017 dalla Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (istituita nel 2015 dal Financial Stability Board del G20), che sono state sottoscritte da 240 organizzazioni nel mondo.
Le raccomandazioni chiedono alle realtà del mondo finanziario di offrire ai propri stakeholder una rendicontazione trasparente in materia di rischi e opportunità legati ai cambiamenti climatici.
Non c’è, per ora, un obbligo, ma il Gruppo Allianz, di cui Darta Saving fa parte, ha già intrapreso la strada indicata dalla Task-Force. Oltre ad essere uno dei primi gruppi assicurativi a impegnarsi per lo sviluppo a lungo termine di un’economia a basse emissioni di carbonio, Allianz ha aderito all’invito inserendo informazioni sui rischi legati al clima e sulla loro gestione nel Report sulla sostenibilità del 20184.
1. https://www.mise.gov.it/index.php/it/198-notizie-stampa/2039458-di-maio-presenta-il-piano-energia-e-clima-2030
2. http://www.lse.ac.uk/GranthamInstitute/wp-content/uploads/2015/04/Working-Paper-190-Dietz-et-al-2016.pdf
3. https://www.repository.cam.ac.uk/bitstream/handle/1810/277284/StrandedAssets_v16_with_Methods.pdf
4. https://www.allianz.com/en/sustainability/strategy-governance/sustainability-report.html