Articolo originariamente pubblicato su ThinkinPark.
Ron Johnson era considerato “il genio del settore retail”. Dopo aver ravvivato il brand di Target negli anni ’90, all’inizio del 2000 era stato chiamato da Steve Jobs per lanciare il nuovo progetto degli Apple Stores. Gli Apple Stores sono diventati velocemente il format di maggiore successo nel settore retail americano: nel giro di due anni dal debutto hanno raggiunto un miliardo di dollari di vendite annuali superando il precedente record di Gap. Nel 2011, le vendite per “square foot” erano circa il doppio di quelle di Tiffany & Co. che era sempre stato il benchmark insuperato.
Così quando a fine del 2011 gli fu offerto il ruolo di CEO in JCPenney, la maggiore catena americana di grandi magazzini che da anni era in declino strutturale, tutti pensarono subito ad un altro successo annunciato. In fondo lo schema era semplice: prendere le migliori idee dalla sua esperienza in Apple e applicarle ai grandi magazzini. La strategia presentata da Johnson agli azionisti fu subito accolta con grande entusiasmo tanto che il prezzo del titolo JCPenney balzò in pochi mesi da 26 dollari a 42. Bisognava però poi metterla a terra: nei fatti la strategia non funzionò e anzi si rivelò una delle esperienze più fallimentari del settore retail americano.
Ron Johnson e JCPenney
Nel corso degli anni JCPenney aveva perso gran parte del suo vantaggio competitivo: i retailer di gamma più alta e gli specialisti avevano iniziato ad abbassare i prezzi mentre dall’altro lato WalMart e Target stavano migliorando la qualità della propria offerta. In considerazione di una gamma di prodotti generalista e poco differenziata, JCPenney aveva sempre fatto leva sulle promozioni e gli sconti. I clienti di JCPenney erano consapevoli che i prezzi di listino erano stati fissati per poi essere scontati e così si erano abituati ad effettuare gli acquisti quasi esclusivamente in presenza di promozioni.
Dopo poche settimane dal suo arrivo, Ron Johnson notò che circa tre quarti della merce venduta era stata scontata almeno del 50% rispetto al prezzo di listino. Decise quindi di fare un cambiamento radicale della strategia di prezzo: eliminò completamente gli sconti e le promozioni e iniziò un nuovo approccio di prezzi “giusti in ogni momento” (“fair and square every day”). Offrendo buoni prezzi ogni giorno tentò di modificare il comportamento dei consumatori con l’obiettivo di dissuaderli dal dover aspettare gli sconti. Questo cambio di strategia mandò però in confusione il cliente tipo di JCPenney per cui la ricerca e l’eccitazione legata allo sconto era il motivo principale per fare acquisti nel grande magazzino.
Inoltre per puntare ad un nuovo segmento di giovani “smart”, che erano il target di riferimento nella sua esperienza in Apple, Johnson iniziò ad eliminare alcuni brand tradizionali che erano i preferiti delle signore cinquantenni che frequentavano in massa i magazzini, per introdurre nuovi brand più “cool” e alla moda.
Il risultato fu di allontanare dal brand i clienti tradizionali senza attrarne di nuovi. Nell’ultimo trimestre del 2012 JCPenney registrò una contrazione delle vendite “a parità di perimetro” (“same store sales”) pari al 32%, in quello che fu definito il risultato peggiore di tutta la storia del settore retail. Dopo solo 17 mesi dal suo arrivo Johnson venne licenziato.
Cosa era successo veramente?
Il martello di Maslow e le altre lezioni
Non era certo un problema di incompetenza: Johnson era molto competente. Il fatto è che sono state proprio le competenze acquisite nell’esperienza in Apple ad averlo messo nei guai.
Il modello mentale che aveva usato con profitto in passato e che gli aveva consentito di ottenere grandi successi non era più adatto. Johnson aveva una teoria eccellente sul mercato retail che funzionava perfettamente in alcune circostanze ma non in altre. E le circostanze erano cambiate ma lui non aveva modificato il modello.
Johnson era quindi caduto vittima del martello di Maslow: “se l’unico strumento che hai è un martello, ogni cosa ti sembrerà un chiodo”. Aveva preteso che la realtà si adattasse al suo modello interpretativo e non il contrario. La sua esperienza maturata in Apple nella vendita di prodotti premium a prezzo pieno senza mai applicare sconti non era funzionale ad un contesto di prodotti indifferenziati e di una clientela in cerca di promozioni. Rendere i punti vendita dei luoghi piacevoli si rivelò una grande idea nel settore tech ma non funzionò per nulla nei grandi magazzini.
“La prima regola è che devi avere una molteplicità di modelli perché se ne usi solo uno o due, la natura della psicologia umana è tale che torturerai la realtà in modo che si adegui ai tuoi modelli.” (Charlie Munger)
Alle prime evidenze di reazioni negative alla cancellazione degli sconti, Johnson non mise in discussione la nuova strategia ma al contrario pensò si trattasse semplicemente di educare i clienti al nuovo modello: pensava infatti che gli sconti fossero una sorta di droga dalla quale i consumatori dovessero essere disintossicati.
La sicurezza derivante dall’applicazione ideologica di un solo modello portò Johnson a trascurare completamente l’applicazione del metodo induttivo, che ha come ingrediente fondamentale la disponibilità a mettere in discussione l’idea di partenza.
Forte dei suoi successi alla guida degli Apple Stores, Johnson era eccessivamente fiducioso (overconfidence o illusione di superiorità) di aver già tutte le risposte e di potersi permettere di fare a meno del feedback dei clienti e dei suoi colleghi prima di imbarcarsi in una completa rivoluzione del modello retail di JCPenney.
Non si preoccupò quindi di individuare un numero limitato di magazzini in cui effettuare un test della nuova strategia di prezzo ma passò direttamente al rollout del nuovo format su tutta la distribuzione. Secondo un articolo del WSJ, quando un collega gli chiese perché non volesse testare la strategia su un campione di negozi Johnson rispose: “non effettuavamo test in Apple!”
Infine, l’esperienza di Johnson rappresenta un esempio paradigmatico di quello che gli psicologi sociali definiscono effetto alone (halo effect): se osserviamo una caratteristica o un risultato positivo di una persona, tendiamo a generalizzare il giudizio positivo e ad attribuirlo alla persona. Nel caso di JCPenney gli azionisti caddero vittime dell’effetto alone in quanto pensarono che il successo di Johnson in Apple fosse completamente riconducibile al suo genio e quindi facilmente replicabile in un’altra situazione e sottovalutarono invece il ruolo di altri fattori legati al contesto come il team, il tipo di prodotto e industria, il timing, la fortuna.
Bibliografia
Belludi Nagesh. Three Leadership Lessons from Ron Johnson’s Debacle at J.C. Penney. Right Attitudes, aprile 2013.
Jacobs, Deborah L. Eight Lessons from Ron Johnson’s Ouster. Forbes, aprile 2013.