Negli ultimi 40 anni, abbiamo assistito al più grande “bull market” dei titoli di stato mai visto nella storia dei mercati: dopo l’esperienza inflazionistica degli anni 70, in cui i tassi di interesse dei paesi sviluppati, in primis gli Stati Uniti, avevano raggiunto livelli prossimi al 20%, si è assistito ad una progressiva riduzione dei rendimenti. Il principale motivo è stato una graduale modfica della politica monetaria, spinta principalmente dalla riduzione ed il contenimento dell’inflazione, oltre che da fenomeni strutturali come il progresso tecnologico e la globalizzazione, ufficialmente iniziata nel 2001 con l’ingresso della Cina nel WTO.
È poi arrivata la crisi del 2008, con l’accumulo di montagne di debito e i rischi di caduta in uno scenario deflazionistico, che ha spinto le banche centrali ad adottare politiche sempre più espansive. Gli acquisti delle banche centrali, tuttavia, hanno ulteriormente spinto al ribasso i rendimenti, controbilanciando la crescita eccessiva del costo di finanziamento degli stati sovrani, ma creando una situazione paradossale in cui i tassi d’interesse sono scesi in molti casi sotto lo zero. Tassi negativi? Si negativi, esattamente.
Chi investe, ad esempio, in un bund tedesco a 5 anni accetta di ottenere un rendimento negativo dello 0,45%. Se a questo ci aggiungiamo l’inflazione che, in Germania, viaggia intorno al mezzo punto percentuale, questo significa che si ottengono rendimenti “reali” negativi del 1%. Alcuni governi invece sono riusciti ad aumentare il debito, riducendo allo stesso tempo il tasso di finanziamento (vedi i casi del Giappone, dell’italia e della Francia), come dire che all’aumentare del rischio di insolvenza, diminuisce il premio per il rischio di chi investe nei titoli di questi paesi.
Il problema per un investitore in titoli di stato oggi, non è soltanto quello di ottenere bassi rendimenti, ma è quello di subire perdite importanti in conto capitale se il livello dei tassi di interesse dovesse semplicemente tornare su livelli “economicamente normali”1. Questo aggiustamento potrebbe avvenire prima del previsto: le economie dei paesi sviluppati stanno ritornando a crescere a livelli vicino al potenziale riducendo la necessità di interventi espansivi delle banche centrali. Non è un caso che la Fed, abbia già iniziato ad alzare i tassi di interesse. Inoltre il nuovo focus su politiche fiscali espansive, soprattutto da parte della nuova amministrazione Trump, potrebbe aggiungere benzina sul fuoco, stimolando ulteriormente la domanda e mettendo pressione sull’aumento deitassi. Infine, la fase di globalizzazione sta subendo una battuta di arresto e non solo per l’ondata di protezionismo che sta prendendo piede nell’opinione pubblica.
Insomma il contesto globale mette sempre più a rischio l’investimento obbligazionario: non solo i rendimenti sono troppo bassi, ma i rischi di un aumento dei tassi di interesse, (sia per interventi diretti di politica monetaria che per gli effetti indiretti degli inteventi di politica fiscale) e quindi di perdite in conto capitale, sono sempre più probabili. Del resto una prima fase di fluttuazione dei tassi l’abbiamo già vissuta negli ultimi mesi: chi ha sottoscritto il BTP a 50 anni (Matusalemme) collocato ad inizio ottobre, si trova oggi a dover fare i conti con perdite attorno al 10%, non certo in linea con le attese di rischio/rendimento di chi investe in obbligazioni.
Quindi cosa fare? Chi vuole mantenere una parte consistente del proprio portafoglio in investimenti obbligazionari, deve fare ricorso a prodotti diversificati, sia a livello geografico ma anche per tipologia di attivi acquistabili (governativi, credito investment grade e high yield, mercati emergenti). E che soprattutto abbiano la possibilità di essere flessibili, cioè di poter modificare la duration (cioè la sensibilità al movimento dei tassi di interesse) con grande velocità, anche assumendo posizioni “corte”, riuscendo quindi ad implementare strategie che possano difendere l’investitore da aumenti dei tassi di interesse.
All’interno della polizza Darta Easy Selection è presente una selezione di alcuni dei migliori fondi obbligazionari flessibili presenti sul mercato. Di sotto una semplice tabellina che mette a confronto la performance dei fondi nei quali investe il relativo fondo assicurativo, con l’andamento dell’obbligazionario europeo nel periodo tra inizio ottobre 2016 e fine marzo 2017.
I risultati sono a senso unico: in questo contesto di mercato sull’obbligazionario occorre essere flessibili!
Disclaimer:
Darta non è un’analista finanziario e i commenti sul mercato, presi dalla stampa specializzata, non vogliono essere una sollecitazione all’investimento.
I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.
1. Ricordiamo che in equilibrio i tassi nominali a lungo termine dovrebbero essere pari al tasso di crescita potenziale dell’economia più inflazione.