Articolo originariamente pubblicato su ThinkinPark.
I princìpi e le regole di buon senso che hanno reso il saggio di Omaha il più grande investitore di sempre.
Nessuno nella famiglia Buffett si stupì quando il piccolo Warren, all’età di 11 anni, dichiarò di essere pronto ad effettuare il suo primo investimento in azioni. Dopo aver studiato l’andamento dei grafici e alcune ricerche nell’ufficio di suo padre, che si occupava di consulenza finanziaria nella città natale di Omaha, decise di comprare 3 azioni di Cities Services Preferred per un investimento di circa $115, convincendo anche la sorella Doris a fare altrettanto. Tuttavia, subito dopo l’acquisto da parte dei fratelli Buffett, il mercato azionario iniziò a scendere e il titolo, acquistato ad un prezzo di $38 arrivò fino ad un minimo di $27, una perdita del 30%! Non passò giorno senza che Doris tormentasse suo fratello ricordandogli quanto stessero perdendo cosicchè quando il titolo ritornò a $40, Warren decise di vendere tutto realizzando un piccolo profitto. Nei mesi successivi il piccolo Warren osservò con grande sconforto il titolo Cities Services Preferred continuare a salire fino ad arrivare a $202: un mancato guadagno di circa $500. Considerato che aveva impiegato circa 5 anni per mettere da parte con piccoli lavoretti i $120 che aveva utilizzato per l’acquisto, quel potenziale guadagno equivaleva a circa 20 anni di lavoro! Il giovane Buffett aveva appena imparato due lezioni che avrebbe ricordato per tutto il resto della sua vita: in primo luogo non si sarebbe mai più fatto condizionare dal prezzo di acquisto di un titolo e non si sarebbe più accontentato di piccoli profitti; inoltre capì quanto fosse importante controllare le emozioni per avere successo negli investimenti.
“Ho fatto il mio primo investimento a 11 anni. Ho perso tempo fino ad allora.” (Warren Buffett)
Il più grande investitore di sempre
Nel 1956, all’età di 25 anni, Buffett lanciò la sua società di investimento, The Buffet Partnership Ltd, insieme a 7 partners che contribuirono una somma iniziale di $105.000. Nel periodo fino al 1969, quando la società fu liquidata, Buffett realizzò un rendimento annuale del 29%, circa il 22% annuo superiore all’andamento del Dow Jones Industrial Average, l’indice di borsa più utilizzato in quegli anni come benchmark di riferimento: un risultato semplicemente sorprendente.
Il mito di Warren Buffett si è però consolidato con i risultati conseguiti in Berkshire Hathaway, la holding finanziaria utilizzata a partire dal 1965 per acquisire partecipazioni in società quotate e non. Dal 1965 al 2019 il valore degli investimenti effettuati da Berkshire Hathaway è cresciuto ad un tasso annuale del 20%, confrontato con un rendimento annuale del 10% conseguito dall’indice S&P500 (indice delle 500 società a maggiore capitalizzazione quotate sul mercato americano). Questo significa che su un orizzonte di 54 anni, Buffett è riuscito a sovraperformare il mercato azionario USA del 10% all’anno: chi ha esperienza di mercati finanziari può capire quanto sia straordinario questo risultato. Gran parte dei gestori hanno difficoltà a battere l’indice S&P500 su orizzonti molto più brevi: già su un periodo di 5 anni, l’impresa diventa molto complicata. I risultati di Buffett sono quindi un’eccezione, un’anomalia statistica che difficilmente qualcun altro potrà replicare.
Quali sono dunque le caratteristiche che rendono Buffett così speciale?
Razionalità
Buffett ha sempre sostenuto che il successo negli investimenti non richieda un livello di intelligenza fuori dal comune. La chiave è il temperamento, il carattere, la capacità di tenere a bada le emozioni: in poche parole ciò che conta è la razionalità. In un discorso fatto agli studenti dell’Università di Washington, Buffett ha utilizzato questo esempio: il quoziente intellettivo (IQ) ed il talento rappresentano i cavalli del motore ma l’efficienza con cui lavora e mette a terra la potenza dipende dalla razionalità. Tante persone sono dotate di un motore da 400 cavalli ma riescono a sprigionarne solo 100: è meglio avere un motore da 200 cavalli ma utilizzarli tutti!
“Come è possibile che persone intelligenti non riescano a raggiungere il loro potenziale? Dipende dalle abitudini, dal carattere e dal temperamento, e dal comportarsi o meno in maniera razionale.” (Warren Buffett)
La parte più difficile per utilizzare al meglio il motore di cui siamo dotati è tenere a bada le emozioni.
“Gli investimenti non sono un gioco in cui il tipo con un QI di 160 batte quello con 130. La dimensione del cervello è meno importante rispetto alla capacità di tenere il cervello lontano dalle emozioni.” (Warren Buffett)
Una delle lezioni più importanti che Buffett aveva imparato da Benjamin Graham, suo storico mentore, era che i mercati finanziari fossero caratterizzati da comportamenti speculativi di investitori guidati dall’emotività: gran parte degli individui diventano avidi ed euforici quando i prezzi sono alti e sono spinti a comprare ancora di più; al contrario diventano depressi e paurosi quando i prezzi scendono e liquidano le proprie attività in preda al panico. Graham ammonì Buffett che se fosse stato in grado di isolarsi da queste tempeste emotive, avrebbe potuto sfruttare a proprio favore il comportamento irrazionale degli altri investitori.
“Per gran parte del tempo i titoli azionari sono soggetti a fluttuazioni irrazionali ed eccessive, a causa della radicata tendenza di gran parte delle persone a speculare o scommettere cioè, a farsi guidare dalla speranza, dalla paura e dall’ingordigia.” (Benjamin Graham)
Buffett, recependo in pieno la lezione del suo maestro, è sempre stato immune dagli impatti emotivi scatenati della volatilità del mercato: si è sempre focalizzato sul valore economico delle società di cui acquisiva una partecipazione convinto che la misura corretta del valore fosse l’andamento dei fondamentali aziendali e non il prezzo di mercato, fortemente influenzato dall’emotività di operatori irrazionali.
“Non ho bisogno che un prezzo di mercato mi dica quello che so già sul valore di un titolo.” (Warren Buffett)
“Il prezzo è quello che paghi. Il valore è quello che ottieni.” (Warren Buffett)
Princìpi chiari, semplici e onnicomprensivi
La vita privata e professionale di Buffett è improntata a una filosofia caratterizzata da pochi e semplici princìpi di buon senso. Buffett si concentra solo su quello che può conoscere e comprendere. Ha sempre investito in società con business model non complicati, in settori in cui aveva una profonda conoscenza e ha sempre rinunciato ad investimenti che non fossero in linea con il suo approccio e la sua filosofia (ad esempio, salvo qualche rara eccezione, non ha mai investito in società tecnologiche). Si è quindi sempre focalizzato su quello che definisce il proprio “circolo di competenze” non preoccupandosi del fatto che le aziende in cui rinunciava ad investire potessero far arricchire altri investitori.
“Il segreto è saper valutare le aziende che rientrano nel tuo circolo di competenze. La dimensione del circolo non è molto importante; vitale, invece, è aver ben a mente i suoi confini.” (Warren Buffett)
Buffett ha sempre creduto che il successo sia determinato dalla capacità di focalizzarsi su poche attività dove si possa fare la differenza, evitando invece tutto ciò che sia difficile da prevedere e controllare e quindi soggetto a grandi margini di errore. Nel campo degli investimenti questo significa evitare di perdere tempo nel cercare di prevedere l’andamento dei prezzi e dell’economia, attività su cui invece si misurano con modesti risultati la maggior parte degli investitori. I mercati e l’economia sono sistemi complessi, con dinamiche determinate dall’interazione di milioni di individui, non sempre razionali: sono per definizione non prevedibili. Al contrario Buffett si concentra sull’analisi dei fondamentali delle aziende: grazie alla conoscenza approfondita del business, del management e della struttura finanziaria è sempre stato in grado di valutare con una certa accuratezza il potenziale futuro delle società in cui ha investito.
Il coraggio di essere “contrarian”
Buffett ha imparato che per avere successo occorre molto spesso andare in direzione opposta rispetto al pensiero collettivo. Per descrivere il rischio di comportamenti imitativi, nella lettera agli azionisti del 1985, Buffett racconta una storiella che aveva ascoltato da Graham.
Alla sua morte, un petroliere appena arrivato in paradiso, riceve da San Pietro una brutta notizia: “Le credenziali sono in regola, ma l’area dei petrolieri è già tutta occupata, non c’è più posto per te”. Allora il petroliere, dopo aver riflettuto un attimo, chiede a San Pietro se può dire qualcosa ai suoi colleghi. Dopo aver ricevuto l’ok, inizia ad urlare: “Petrolio! Hanno scoperto il petrolio all’inferno!”. All’improvviso tutti i petrolieri si catapultano fuori dalla loro area. San Pietro, impressionato dall’arguzia del petroliere, gli dice che può entrare e mettersi comodo. Tuttavia il petroliere si arresta e afferma: “No… penso che andrò anch’io con i colleghi. Magari ci potrebbe essere davvero il petrolio all’inferno!”.
Gran parte dei manager hanno pochi incentivi ad adottare un pensiero originale e indipendente o quello che Buffett definisce “intelligent-but-with-some-chance-of-looking-like-an-idiot”: il rischio di apparire un idiota a seguito di una decisione non convenzionale è decisamente superiore alla ricompensa nel caso si rivelasse corretta.
“È risaputo che per la propria reputazione sia meglio fallire in modo convenzionale che avere successo in modo non convenzionale.” (John Maynard Keynes)
Nel valutare i manager delle società in cui acquisisce partecipazioni, Buffett ha sempre considerato di grande importanza la capacità di pensiero autonomo e indipendente, di sottrarsi a quello che definisce l’”imperativo istituzionale” cioè la tendenza dei manager a imitare le pratiche adottate da aziende simili, per non correre il rischio di sentirsi isolati.
Lo stesso Buffett si è sempre distinto per capacità di agire da “contrarian” nella scelta dei suoi investimenti e non si è mai curato delle opinioni di chi lo criticava. Così fu per l’investimento nella banca Wells Fargo a fine del 1990, proprio mentre si era nel mezzo della crisi del mercato immobiliare in California, o la decisione di non avere neppur un titolo tecnologico durante la bolla “dot.com” del 2000 o anche l’investimento di 5 miliardi di dollari in Goldman Sachs nel bel mezzo della crisi finanziaria del 2008: tutte scelte che si sono rivelate altamente profittevoli.
Time and patience
“I guerrieri più forti sono questi due: tempo e pazienza.” (Lev Tolstoj)
Buffett non ha mai avuto fretta di vendere, neppure in presenza di guadagni molto consistenti sui propri investimenti: anzi si è dichiarato contento di mantenere i propri investimenti per sempre (“Our favorite holding period is forever”), almeno finché le prospettive del business fossero favorevoli e il management si dimostrasse competente ed onesto. Buffett non ragiona in giorni, mesi e trimestri ma in anni. Essendo disposto ad accettare la volatilità durante il percorso, questa strategia di lungo termine gli consente di massimizzare i rendimenti che ottiene dagli investimenti. Un esempio su tutti è la partecipazione in Cola Cola: acquisito il 7% nella primavera del 1989, Buffett non ha ancora venduto il suo investimento (oggi è al 9%). La fiducia e la costanza è stata ripagata abbondantemente: a fronte di un costo di carico di 1,3 miliardi di dollari, il valore della partecipazione a fine 2019 era pari a 22 miliardi.
“Se non sei disposto a detenere un titolo per 10 anni, non ha senso detenerlo neppure per 10 minuti.” (Warren Buffett)
“Il tempo è amico dell’impresa eccellente, nemico di quella mediocre.” (Warren Buffett)
Buffett ha inoltre la capacità di rimanere inattivo per lunghi periodi e ha la pazienza di scartare opzione dopo opzione fino a quando non arriva l’occasione giusta. Buffett ha spiegato questa strategia utilizzando l’analogia con Ted Williams, l’ultimo giocatore della storia del baseball americano ad aver chiuso il campionato con una media battuta superiore a 0.400 (nel 1941). Ted Williams era famoso per la sua tecnica finalizzata a colpire solo quelle palle che arrivavano nella zona giusta “dello strike”, quella in cui aveva maggiori probabilità di battuta, disinteressandosi completamente degli altri lanci su cui avrebbe avuto percentuali inferiori.
“Il trucco negli investimenti è stare seduti e osservare lancio dopo lancio, aspettando quello che arriva proprio nel punto giusto. E se le persone attorno a te stanno urlando “Dai, colpisci!”, tu ignorale.” (Warren Buffett)
Il coraggio delle proprie idee
Proprio perché Buffett ha la pazienza di aspettare le grandi opportunità, quando ne individua una ci scommette in maniera importante. Lo stile adottato da Buffett è conosciuto come “Focus Investing” perché i suoi investimenti sono sempre stati concentrati su un ristretto numero di grandi scommesse (ad esempio a fine 2019 oltre l’80% del portafoglio di titoli quotati era concentrato in 15 posizioni).
Quando nel 1989 entrò nell’azionariato di Coca Cola, Buffett valutò l’opportunità talmente interessante da investirvi un terzo di tutto il portafoglio di Berkshire: non è possibile ottenere risultati straordinari senza credere fermamente nelle proprie idee.
“L’investitore saggio scommette forte quando il mondo gli offre l’occasione, quando le probabilità sono dalla sua parte. Altrimenti no. È così semplice.” (Charlie Munger)
Margine di sicurezza
Il margine di sicurezza ha sempre rappresentato un cardine centrale della filosofia di Buffett. Questo modello mentale è stato codificato in ambito finanziario da Benjamin Graham in Security Analysis, libro che ha posto le fondamenta intellettuali di quello che fu in seguito definito Value Investing. Graham istruì Buffett sull’importanza di comprare un’azienda solo quando il prezzo di mercato fosse significativamente inferiore al suo valore economico, in modo tale da avere un margine di sicurezza che lo proteggesse dal rischio di ulteriori riduzioni del prezzo.
Buffett ha poi esteso questo concetto anche alle politiche di gestione di Berkshire e delle altre società che la sua holding controlla direttamente. Buffett ha sempre mantenuto una riserva importante di cash in bilancio e anche nei casi in cui ha fatto ricorso al debito per effettuare acquisizioni ha utilizzato una strategia “non convenzionale” che consiste nell’indebitarsi in largo anticipo rispetto alle necessità di utilizzo. Questo perché quando le condizioni di indebitamento sono favorevoli (i tassi d’interesse sono bassi) le attività quotate sul mercato hanno generalmente prezzi elevati e sono quindi meno interessanti. Al contrario, in periodi di crisi, quando le opportunità di acquisto sono più favorevoli, anche le condizioni di finanziamento diventano meno vantaggiose. È ovvio che la pratica di indebitarsi in anticipo ha un impatto negativo di breve periodo sulla marginalità: ma è un costo che Buffett è disposto a sopportare per farsi trovare pronto quando si presenterà l’occasione giusta.
“Noè non ha iniziato a costruire l’Arca mentre stava piovendo.” (Warren Buffett)
“Se vuoi colpire elefanti rari che corrono veloce, ricordati di portare sempre con te una pistola.” (Warren Buffett)
Hire well, manage little
Buffett si è sempre circondato di persone di cui nutriva una grande ammirazione e con cui ha instaurato rapporti di lunga durata: primo fra tutti Charlie Munger, anche lui di Omaha, che dopo aver conosciuto Buffett nel 1959, è entrato stabilmente nel board di Berkshire Hathaway a partire dal 1978. I due costituiscono l’esempio più longevo di collaborazione fruttuosa tra due imprenditori di successo: una coppia dove ciascuno rappresenta il miglior consigliere per l’altro.
Buffett ha lo stesso approccio nei confronti dei manager delle aziende controllate: il suo obiettivo è individuare persone oneste, affidabili e di talento con cui poter instaurare relazioni di lungo periodo limitando al minimo il turnover. Buffett è il primo sostenitore dei manager delle sue aziende ed è fermamente convinto che siano i migliori professionisti nel loro settore: non si intromette mai nella gestione operativa, ma è sempre disponibile e supportivo quando i suoi manager hanno necessità di confrontarsi con lui.
La conoscenza sviluppata da Buffett nella comprensione delle aziende è anche frutto del rapporto di continuo di scambio che ha instaurato con i suoi manager.
“Quello che facciamo con i nostri manager, è prima selezionare quelli con una media battuta di 0,400 e poi non dirgli come devono colpire.” (Warren Buffett)
A fine 2019 Berkshire Hathaway è un conglomerato con circa 80 società controllate che operano in diversi settori economici e impiegano circa 390.000 persone: il corporate center ad Omaha, dove lavorano Buffett e Munger è costituito da 26 persone e non ci sono funzioni centralizzate. La filosofia è: “hire well, manage little”.
Il metodo Warren Buffett
Warren Buffett ama definirsi come una persona ordinaria che applica poche regole di buon senso. In realtà Buffett è molto di più: come ha scritto Roger Lowenstein nel libro Buffett: The Making of an American Capitalist: “il genio di Buffet risiede nel suo carattere; è un genio fatto di pazienza, disciplina e razionalità.”
Bibliografia
Berkshire Hathaway. Annual Report 2019.
Hagstrom, Robert G. The Warren Buffett Way. John Wiley & Sons, 2014.
Loomis, Carol J. The Inside Story of Warren Buffett. Fortune, April 1988.