Lunedì 15 settembre 2008. Lehman Brothers, la quarta banca d’investimenti Usa chiede l’ammissione al Chapter 11 del codice fallimentare statunitense, dichiarando il default. Il mondo, che da circa un anno si era abituato a sentir parlare di mutui subprime e di crisi del mercato immobiliare americano, scopre che la regola del “Too big to fail” non è più inviolabile. Si scatena “l’effetto Lehman”: le borse precipitano, con Dow Jones che perde oltre 504 punti, il crollo peggiore dalle Torri Gemelle, mentre i listini europei bruciano 120 miliardi di euro. I grandi investitori corrono agli sportelli a recuperare i loro patrimoni: è l’inizio della grande recessione, che coinvolge non solo la finanza ma anche l’economia reale. In Europa la situazione sarà aggravata ulteriormente, nel 2009, dalla crisi dei debiti sovrani, innescata dalla Grecia ed esplosa in Italia nel 2011.
Ormai si è concordi nell’affermare che quella del 2008 fu una crisi “multipla” con effetti globalizzati. Fu, infatti, una crisi:
- immobiliare, negli Stati Uniti, dopo anni di credito eccessivo;
- bancaria, in Europa ed America, per la grande presenza nei bilanci di derivati legati proprio ai mutui facili concessi in Usa;
- finanziaria, per l’incertezza sui bilanci delle banche;
- dell’economia reale, per il crollo degli investimenti di imprese e famiglie e dei prestiti da parte delle banche alle aziende;
- dei debiti degli Stati, soprattutto in Europa.
Dieci anni dopo, i principali indicatori economici fanno emergere una certa lentezza nel processo di recupero a livello economico. Il PIl, in Europa, è tornato ai livelli pre-crisi nel 2014, con l’eccezione dell’Italia che ha un gap di 5,5 punti da recuperare. Gli investimenti, determinanti per l’aumento della produttività, in Usa hanno superato il livello del 2007 solo del 3,7%, mentre in Europa sono ancora indietro, con punte del -23% in Italia. Anche l’erogazione del credito è molto più rallentata, così come la velocità di crescita degli scambi internazionali.
In questo contesto, come se l’è cavata il mondo assicurativo?
Numeri e tendenze del mercato assicurativo in Italia dopo la crisi del 2008
Nessuna necessità di ricorrere a salvataggi pubblici, crescita del mercato, buona redditività costante nonostante la stagione dei bassi tassi d’interesse: se guardiamo il quadro complessivo, in questi dieci anni il settore assicurativo in Italia non è stato travolto dal cataclisma che ha investito altre realtà come le banche.
Per fare un confronto, l’ultima vera crisi di una compagnia assicurativa risale al caso Fonsai, nel 2012, risolta senza salvataggi pubblici con l’acquisto da parte di Unipol. Al contrario, il settore bancario ha dovuto affrontare 8 situazioni di crisi, con tre salvataggi da parte dello Stato.
Il bilancio del 2017 parla di 132 miliardi di euro (7,6% del Pil nazionale) di raccolta premi assicurativa, cifra che pone l’Italia all’ottavo posto nel mondo1.
A trascinare la crescita, in questi anni, sono state soprattutto le polizze vita, con un trend positivo. I premi del portafoglio diretto del ramo vita sono passati infatti dai 54,5 miliardi del 2008 ai 98,6 miliardi del 2017, con un exploit nel 2015, quando si è arrivati a quota 115 miliardi. Positiva anche la performance economica. Considerando il risultato tecnico, il saldo della riassicurazione , il portafoglio estero, la gestione non tecnica e la tassazione, il settore vita ha registrato nel 2017 un utile pari a circa 3,5 miliardi ed un indice di redditività del settore (Roe) pari al 10%, contro il -7,8% del 2008 ed il -8,8% del 2011 (anno della seconda crisi in Italia).
Nel ramo danni, si è registrato invece un calo dei premi nel portafoglio diretto dai 37,4 miliardi di euro del 2008 ai 32 miliardi del 2017 – valore comunque stabile negli ultimi tre anni. Buone invece le performance economiche: nel 2017 l’utile è stato di 2,4 miliardi contro il -0,2 del 2008. Dal 2012, l’utile è stato praticamente sempre positivo, così come il Roe che, risalito dai valori negativi nel 2012, nel 2017 ha raggiunto quota 9,7%.
La fotografia attuale conferma un trend positivo nel settore assicurativo, che ha chiuso il 2018 con 135 miliardi di raccolta premi (parti al 7,7% del Pil), segnando un incremento del 3,2% rispetto al 20172. In particolare nel settore del risparmio, Ania registra il ruolo centrale delle polizze vita che continuano a rappresentare una delle forme più importanti di impiego, pari a circa il 16% dello stock di attività finanziarie delle famiglie italiane, in crescita dal 15,4% del 2017.
Questo trend può essere letto alla luce di un cambio di approccio al risparmio e all’investimento. Gli anni della crisi hanno ridotto progressivamente il reddito disponibile, il potere d’acquisto e, di conseguenza, la capacità di risparmio. Nel 1990 la propensione al risparmio3 era del 23,4%, nel 2018 siamo all’8,1%, dato salutato positivamente perché superiore alla soglia psicologica dell’8%4.
Questa contrazione, figlia senz’altro di un periodo di stagnazione del reddito disponibile pro capite già a partire dagli anni 2000, e accelerata dopo la crisi, ha determinato la necessità di cercare sicurezza più che redditività negli investimenti, soprattutto per crearsi delle coperture in caso di imprevisti, per la tutela dei figli e per affrontare il futuro previdenziale.
In un contesto finanziario caratterizzato dalle turbolenze dei mercati e dalla possibilità di veder coinvolti i propri risparmi in crisi bancarie dopo l’introduzione del bail-in, le polizze vita sono state viste come strumenti di gestione del risparmio e protezione, in grado di abbinare una redditività alla garanzia sul capitale investito.
Dopo la crisi: nuove regole e più alfabetizzazione
Se il bilancio del settore assicurativo è tutto sommato positivo, è innegabile che la crisi del 2008 abbia prodotto degli effetti strutturali che determineranno anche lo sviluppo futuro del settore.
La conseguenza più evidente è probabilmente l’ondata di nuova regolamentazione che ha coinvolto in generale il settore finanziario e che ha riguardato anche il mondo assicurativo. L’analisi delle cause della crisi, infatti, ha messo in evidenza che buona parte di quanto accaduto era legata ad una scarso controllo dei prodotti finanziari, allocati in modo non appropriato a persone con profili di rischio e capacità economiche non adeguati.
Se in Europa il processo normativo era già in nuce, dopo la crisi c’è stata una decisa accelerazione. Solvency II, Mifid II, Priips, IDD, seppur riferiti ad ambiti diversi, possono essere ricondotti tutti all’interno di una stessa cornice, ovvero la necessità condivisa ai massimi livelli di evitare che si ripetesse quanto accaduto nella crisi del 2008, introducendo regole comuni nei paesi dell’Unione a tutela del cliente finale.
Nelle premesse dell’IDD, ad esempio, si legge: “le attuali e recenti turbolenze finanziarie hanno evidenziato quanto sia importante garantire un’efficace tutela dei consumatori in tutti i settori finanziari. È pertanto opportuno rafforzare la fiducia dei consumatori e rendere più uniforme la regolamentazione concernente la distribuzione dei diversi prodotti assicurativi al fine di assicurare un livello adeguato di tutela dei consumatori in tutta l’Unione”5.
Pur con differenze tra i singoli provvedimenti, c’è un filo comune che caratterizza la nuova regolamentazione, ovvero un ribaltamento dell’approccio tradizionale del mondo finanziario e assicurativo: il punto di partenza, per tutti, non è più il prodotto, ma il cliente finale, che deve essere il riferimento in ogni fase del processo di creazione e distribuzione dei prodotti finanziari e assicurativi.
In questa ottica va letto anche il lungo processo di revisione dell’organizzazione interna delle compagnie, che hanno dovuto adottare sistemi di controllo interni, per garantire solidità e solvibilità, nonché strumenti per intercettare eventuali criticità e porvi rimedio.
Altro aspetto importante a cui la crisi, e in particolare l’esplosione delle crisi bancarie, ha dato impulso è stata l’accelerazione dell’alfabetizzazione finanziaria. Se prima della crisi la conoscenza degli elementi base di finanza ed economia era considerata accessoria, dopo è diventato evidente che per effettuare scelte consapevoli ciascuno deve avere gli strumenti per fare delle valutazioni oggettive. In Italia, dove ancora nel 2017 si rilevavano risultati poco lusinghieri per quanto riguarda l’alfabetizzazione finanziaria tra i giovani6, si è finalmente arrivati alla conclusione dell’iter per la legge sull’educazione finanziaria. Ci vorranno anni probabilmente prima di vedere dispiegati tutti gli effetti della nuova normativa, ma l’approvazione della legge segna quanto meno un punto di non ritorno.
Nuove esigenze: reputazione e sostenibilità
Dopo la crisi sono emerse nuove esigenze da parte dei risparmiatori ed investitori, che stanno portando le compagnie, inevitabilmente, a riorientarsi verso nuove priorità.
Innanzitutto, i casi di risparmio “tradito” soprattutto per le crisi bancarie così come la stessa vicenda dei mutui subprime ha fatto emergere una maggiore sensibilità di investitori e risparmiatori verso la reputazione dei brand, che è diventato un vero e proprio asset strategico per le aziende.
Secondo i dati elaborati dal Reputation Institute, il 64% degli italiani comprerebbe i prodotti di un’azienda dalla forte/ottima reputazione, mentre solo il 25% di essi ne acquisterebbe da aziende di scarsa reputazione. Questo è ancor più vero nel comparto dei servizi finanziari, dove c’è uno stretto legame tra reputazione e propensione all’acquisto: un aumento del 5% della reputazione porterebbe a un aumento del 4,5% nelle scelte d’acquisto degli italiani7.
Questa attenzione dei clienti spiega anche il moltiplicarsi di realtà che misurano il brand reputation, tanto che ormai l’85% delle società quotate sui principali mercati ha attivato sistemi per la misurazione della reputazione e sono sempre più numerose quelle che stanno investendo in programmi di costruzione e protezione della reputazione.
Una seconda considerazione va fatta per quello che riguarda l’attenzione crescente alla sostenibilità degli investimenti. La ripercussione della crisi finanziaria sull’economia reale ha messo l’accento sull’impatto della finanza sull’economia reale, accrescendo la consapevolezza dello stretto legame tra l’una e l’altra. Questo ha portato ad aumentare, soprattutto tra i giovani, la tendenza a privilegiare la cosiddetta finanza sostenibile e responsabile, ovvero che investe con l’intenzione di generare un ritorno sociale e ambientale positivo e misurabile, insieme a un ritorno finanziario. Questa dinamica coinvolge, ovviamente, anche il mondo assicurativo, nel momento in cui deve individuare i fondi in cui investire i premi raccolti.
L’ultimo rapporto del Global Impact Investing Network8 dice che gli asset gestiti nel mondo con un approccio teso alla sostenibilità valgono 502 miliardi di dollari, con oltre 1.300 “investitori a impatto” attivi. In Europa, l’Italia è il Paese in cui gli investimenti a impatto sono più diffusi: nell’ultimo biennio (2015-2017) hanno registrato una crescita decisamente marcata, passando da 3 a 52 miliardi di euro di asset gestiti.
La caratteristica fondamentale dell’impact investment è che chi investe non lo fa solo per ottenere un rendimento finanziario, come qualsiasi altro investitore, ma anche per conseguire un impatto sociale e ambientale positivo sulla collettività, che viene definito ex-ante e misurato ex-post in modo oggettivo e verificabile. Solitamente si tratta di investimenti rivolti verso settori e attività che contribuiscono ad affrontare alcuni dei più gravi problemi che affliggono le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo: sanità, educazione, alimentazione, infrastrutture, housing sociale, accesso a servizi finanziari di base, accesso all’energia.
Il nuovo paradigma e le opportunità post-crisi
Seppure i numeri sembrino indicare che il mondo assicurativo sia stato risparmiato dal cataclisma della crisi, il cambiamento nelle scelte dei risparmiatori, la nuova dinamica normativa, l’attenzione a reputazione e sostenibilità hanno prodotto dei cambiamenti strutturali nel modo di fare assicurazione, aprendo nuove opportunità.
Il dispiegarsi degli effetti delle nuove normative, infatti, crea un sistema più solido a livello finanziario, che dovrebbe scongiurare il ripetersi di quanto accaduto nel 2008, rafforzando la fiducia dei clienti che, alla luce della maggiore alfabetizzazione finanziaria, sono destinati ad essere sempre più protagonisti del processo decisionale, richiedendo competenze sempre più specifiche ai consulenti. La centralità della reputazione, inoltre, premierà le aziende che stanno investendo in questo asset strategico per accrescere la competitività. Infine, la richiesta di investimenti sostenibili orienterà sempre più il mondo assicurativo verso prodotti che rispondono a questa nuova esigenza, configurandolo come motore del benessere globale.
1. http://www.ania.it/export/sites/default/it/pubblicazioni/rapporti-annuali/Assicurazione-Italiana-in-Cifre/Assicurazione-Italiana-in-Cifre-2018/Lassicurazione-in-cifre-2018.pdf
2. http://www.ania.it/export/sites/default/it/sala-stampa/comunicati-stampa/2019/COMUNICATO-STAMPA-PREMI-2018-26.03.2019.pdf
3. https://giuseppechiellino.blog.ilsole24ore.com/2013/10/03/propensione-al-risparmio-degli-italiani-dimezzata-in-15-anni/
4. https://www.agi.it/economia/istat_risparmio_famiglie-5312554/news/2019-04-12/
5. https://www.ivass.it/normativa/internazionale/internazionale-ue/direttive/2016-97-ue/direttiva_ue_2016-97.pdf
6. https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2017-05-24/italia-indietro-nell-educazione-finanziaria-giovani-grandi-risparmiatori-ma-faticano-capire-103533.shtml?uuid=AEZTa8RB
7. https://www.milanofinanza.it/news/download-pdf?idart=201611012039328906&ricerca=
8. http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/ofc/abc_investimenti/2019/05/31/esg-cose-e-quanto-vale-limpact-investing_a5bf7538-cbfb-4917-8340-e1615da9f779.html