La fine dell’anno scorso ha regalato al 2019 una serie di incognite di non facile soluzione: le dinamiche tra Stati Uniti e Cina, la Brexit e le elezioni europee, il ruolo e le decisioni da assumere da parte delle banche centrali.
In pochi mesi ben 18 banche centrali si sono riunite, a testimonianza di quanto le politiche monetarie che saranno chiamate a portare avanti siano tuttora determinanti.
Fino a qualche mese fa, infatti, i mercati finanziari ritenevano plausibile assistere a una crescita economica, seppur più contenuta rispetto agli anni passati, accompagnata dal generale disimpegno nell’immissione di liquidità da parte delle banche centrali e, nelle aree e nei paesi in cui il ciclo era più avanti, un ulteriore aumento dei tassi d’interesse.
I successivi timori di un rallentamento globale dell’economia hanno poi probabilmente determinato il calo borsistico del quarto trimestre 2018 che ha raggiunto livelli storici in termini percentuali, in particolare nel mese di dicembre e soprattutto in relazione al listino americano.
Nello stesso tempo, a cavallo dell’inizio del nuovo anno, abbiamo assistito ad un’inversione a U delle quotazioni, che a loro volta si sono poi estese nei primi due mesi dell’anno raggiungendo livelli percentuali altrettanto significativi.
Eppure il quadro delle tensioni Cina-USA non è molto dissimile da quello di qualche mese fa: al limite abbiamo assistito ad una tregua concordata, cioè ad un rinvio nel tempo di eventuali decisioni negative per una o per l’altra parte, teso ad assicurare ad entrambe il tempo necessario per organizzarsi al meglio.
Anche il tema della Brexit rimane sul tavolo. Semmai, il governo di Theresa May è oggi in maggior difficoltà rispetto a qualche mese fa e le incognite di questa situazione pendono non solo su tutta l’Europa, ma sul mondo intero.
Inoltre l’esito delle elezioni europee di maggio rimane incerto e nulla è accaduto in questo inizio d’anno che potesse rassicurare gli investitori.
I dati economici sono invece stati confermati nel loro rallentamento, anche se con qualche differenza a livello geografico con l’Europa in maggiore difficoltà rispetto agli Stati Uniti.
Ma se tutto è rimasto uguale o al limite in leggero peggioramento, perché i mercati finanziari hanno avuto questa positiva, e a tratti violenta, reazione rialzista? Perché sono rimbalzati nonostante l’assenza di spunti favorevoli alla crescita o alla globalizzazione?
Molti ritengono che quanto accaduto sia dipeso proprio dalle banche centrali, dalle decisioni che hanno assunto e dall’aspettativa che si è generata sulle possibili iniziative future.
In questo senso una grande protagonista è stata la Federal Reserve che ha dapprima lasciato intendere che i rialzi dei tassi d’interesse siano ormai già quasi giunti al capolinea (ndr molti operatori specializzati ritengono che la FED alzerà i tassi ancora solo una volta, e nella misura dello 0,25% solamente) per poi successivamente assumere un atteggiamento di attesa che potrebbe anche tradursi nell’esaurimento del ciclo restrittivo della politica monetaria, in atto dal dicembre 2015.
Come molti lettori sapranno, a partire dall’ottobre 2017 la FED sta inoltre riducendo il proprio bilancio al ritmo di 50 miliardi di dollari al mese, compiendo così l’operazione contraria all’immissione di liquidità nel sistema per sostenere l’economia reale e tutto il sistema finanziario, mercati compresi. Siamo dunque in quella che è stata definita la fase di Quantitative Tightening, l’esatto opposto del precedente Quantitative Easing.
Riassorbire la liquidità immessa a suo tempo, alzando progressivamente i tassi d’interesse è stata un’operazione possibile a fronte di ritmi di crescita economica positivi e, ancor meglio, robusti. Il pilota automatico di drenaggio – come è stata chiamata questa politica monetaria – pare oggi però trovare un possibile ostacolo nelle ipotesi recessive.
Senza giungere a conclusioni affrettate, è ben più probabile che il buon senso prevalga ipotizzando un rallentamento e non ancora una recessione, con la conseguenza che si passi dal pilota automatico ad una strategia di semplice attesa. Questo tipo di incertezza si riverbera in una curva dei tassi USA pressoché piatta, in cui i rendimenti a breve sono molto simili a quelli a lunga, con una forma che può destare preoccupazioni. Al momento lo spread di rendimento tra i treasury a 10 anni e quelli a due anni è pari a 15 punti base, uno dei livelli più bassi degli ultimi 20 anni.
La curva dei tassi non è l’unico né il più affidabile degli indicatori economici, mentre gli ultimi 16 mesi hanno permesso una vistosa riduzione del bilancio, al punto che si parla di 1,6 miliardi di dollari di riserve bancarie, ritenuto dai più ampiamente sufficiente per ipotetici futuri interventi sul mercato, in caso si palesassero nuove difficoltà.
Anche sul fronte europeo si moltiplicano le aspettative di nuove iniziative espansive in termini di politica monetaria, dopo i segnali di rallentamento economico più severi del previsto. Molti analisti infatti si attendono probabilmente già nelle prossime settimane l’annuncio da parte di Draghi di una nuova operazione di LTRO o TLTRO, ovvero forme di finanziamento a liquidità illimitata che verrebbe concesso alle banche in una o più aste a tassi risibili o addirittura azzerati per un periodo di tempo di alcuni anni. In contropartita al finanziamento le banche devono consegnare alla BCE titoli affidabili e forse anche per questo motivo nelle ultime settimane è scattata la corsa all’acquisto dei bot da parte degli intermediari finanziari.
Visto dunque il contesto, compresa l’inflazione più evocata che temuta, risulta alquanto improbabile parlare di rialzo dei tassi in Europa, di cui si riparlerà probabilmente dal 2020.
Anche la banca centrale cinese ha di recente pubblicato il rapporto esecutivo sulla politica monetaria del quarto trimestre del 2018. In esso, conferma che non ritiene necessario applicare nuove misure di Quantitative Easing, anche se contestualmente ricorda che l’istituto centrale dispone di molti strumenti nonché di ampi spazi di manovra di politica monetaria.
Insomma, l’atteggiamento accomodante delle banche centrali che ha sostenuto i mercati finanziari fino al rally di questi giorni appare quasi completamente scontato nelle attuali quotazioni.
Solo un miglioramento del quadro economico rispetto alle attese incorporate in questi prezzi potrà probabilmente assicurare una continuità al ritrovato maggior risk on degli investitori. Altrimenti dovremo ancora confidare nei sapienti e equilibrati interventi delle banche centrali, assolute protagoniste dell’ultimo decennio e forse del prossimo.