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30
Nov 2018

Spread, rallentamento dell’economia, procedura d’infrazione: c’è aria di patrimoniale?

Le scintille tra il governo italiano e la Commissione europea attorno alla legge di bilancio, sfociate nell’avvio della procedura d’infrazione, hanno acceso i timori per le prospettive di stabilità economica e politica dell’Italia, tanto che autorevoli fonti giornalistiche1 avvisano che l’uscita di patrimoni italiani dai confini nazionali è già iniziata.

La bocciatura della manovra da parte della Commissione europea, l’impennata dello spread2 che da ottobre ha superato il tetto dei 300 punti base, il declassamento del rating dell’Italia da parte di Moody’s da BAA2 a BAA3 (al limite del livello spazzatura) e i dati sull’economia che parlano di un rallentamento hanno portato a ritenere sempre più probabile l’imposizione di una patrimoniale, ovvero l’imposta che colpisce, appunto, i patrimoni. A più riprese il governo ha rassicurato i risparmiatori che non sarà preso nessun provvedimento in tal senso. Ma fino a quando sarà possibile mantenere questo impegno?

Patrimoniale, cos’è e perché Ocse e Fmi chiedono all’Italia di applicarla

La patrimoniale è un prelievo ricorrente, in genere annuale, su patrimoni netti e immobili, la cui ratio è di rimodulare la ricchezza per garantire maggiore equità, oltre che portare risorse alle casso dello Stato.

Un esempio tipico di patrimoniale è la “Impôt de solidaritè sur la fortune” francese, che prevede l’applicazione di un’aliquota da 0,5% a 1,5% a partire da patrimoni sopra gli 800.000 euro.
In Italia non c’è un’imposta complessiva sul patrimonio: la tassazione dei beni di proprietà è suddivisa in piccole imposte e bolli, che danno un gettito totale del 2,7% del Pil. La voce principale riguarda i beni immobili, sebbene la prima casa ne sia esente.

Di patrimoniale si parlò nel 1992, quando il governo Amato stabilì un prelievo forzoso sui conti correnti del 6 per mille. Tuttavia si trattò di una misura una tantum, che peraltro colpì tutti i correntisti e non, quindi, solo quelli con i patrimoni più consistenti.
Nel 2011, in piena tempesta finanziaria, il governo Monti, con il decreto Salva Italia, introdusse una mini patrimoniale sui risparmi: un balzello pari allo 0,1% sui risparmi investiti in strumenti finanziari (conti cor­renti, conti di deposito, deposito titoli e fon­di comuni di investimento), salito allo 0,15% nel 2013. Arrivò anche l’Imu, l’imposta sui beni immobili, che è stata mantenuta nel tempo seppure depotenziata, poiché viene applicata ormai solo alle seconde case.

Di fatto, quindi, non è mai stata introdotta una imposta strutturale e globale sui patrimoni, perché questa scelta avrebbe dei costi politici – non è un caso che i due governi che hanno preso un provvedimento di questo tipo fossero tecnici. Inoltre, c’è una difficoltà pratica nell’accertare il valore dei patrimoni netti. Non da ultimo, c’è il timore che una simile imposta porterebbe chi ha patrimoni consistenti a trasferirli altrove, deprimendo nel lungo periodo la ricchezza in Italia. Eppure, secondo l’Ocse e il Fondo Monetario Internazionale, l’Italia dovrebbe introdurre una patrimoniale.

Ad inizio anno, l’Ocse3 ha invitato i Paesi industrializzati che, come l’Italia, hanno un’aliquota unica su investimenti e risparmi privati a prendere in considerazione un certo grado di progressività in nome della crescente disuguaglianza e ha sottolineato che “ci potrebbe essere lo spazio per una tassa patrimoniale nei Paesi in cui la tassazione sul reddito da capitale è bassa e dove non ci sono tasse di successione”. Non si può dire che in Italia le imposte sui redditi siano basse, ma, sottolinea l’Ocse, l‘ultima aliquota (43%) scatta dopo i 75.000 euro di reddito, ed è uguale per tutti, compresi i patrimoni milionari.
Da parte sua, il Fondo Monetario Internazionale4, nel Fiscal Monitor di aprile, scriveva che “in Italia la priorità dovrebbe essere di iniziare un credibile e ambizioso consolidamento fiscale per ridurre il debito” e che la ricetta per farlo prevede “la riduzione delle tasse sui fattori produttivi, spostando la tassazione verso la ricchezza, la proprietà ed i consumi”.

Una patrimoniale reale, su modello di quella francese, in Italia partirebbe da una base imponibile decisamente elevata. Secondo l’ultimo dossier “Conti finanziari” della Banca d’Italia alla fine del secondo trimestre 2018 gli italiani disponevano di circa 4.300 miliardi di asset tra depositi, titoli di Stato, azioni e quote di fondi comuni, circa due volte e mezzo il valore del Pil. Le famiglie italiane, dunque, dispongono di patrimoni importanti con un tasso di indebitamento decisamente inferiore rispetto alla media europea: sempre nel secondo trimestre del 2018, secondo la Banca d’Italia il debito delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile si è attestato al 61,4%, contro il livello medio dell’area euro del 94,9%.

In una situazione di emergenza, dunque, una patrimoniale avrebbe l’effetto immediato di incrementare le entrate, riducendo rapidamente il debito pubblico. Ma Ocse e Fmi pensano non solo ad una tassa d’emergenza, bensì a qualcosa di strutturale, che consenta di ridurre le imposte sui redditi da lavoro, liberando l’economia di impresa.

Patrimoniale più vicina con lo spread in crescita?

I suggerimenti di Ocse e Fmi sono di fatto caduti nel vuoto, visto che nella manovra di bilancio, coerentemente con gli annunci del governo, non è stata prevista alcuna patrimoniale e anzi si è deciso di incrementare il deficit pubblico per finanziare misure come Quota 100 e reddito di cittadinanza.

Tuttavia, ora lo scenario è cambiato. Pesa l’impennata dello spread, il differenziale tra titoli di stato italiani e bund tedeschi a 10 anni. Questo valore è una sorta di “termometro”, perché consente di misurare la fiducia degli investitori nella stabilità di medio e lungo periodo di un Paese: se cresce il differenziale tra titoli di Stato italiani e bund tedeschi, significa che gli investitori temono che l’Italia non avrà la capacità di rimborsare il debito e questo porta ad una fuga di capitali.
Gli effetti sono immediati perché uno spread alto fa incrementare i tassi di interesse sui titoli di Stato, e, quindi, di conseguenza, gli interessi da versare ai creditori. Secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani guidato da Carlo Cottarelli, già direttore del Fiscal Affairs Department del Fmi, lo spread a 300 punti base porterà ad aumentare la spesa per interessi (rispetto a quanto previsto nel DEF di aprile) di oltre 6 miliardi nel 2019 e di 10 miliardi nel 2020.

Lo spread ha un costo diretto nella quotidianità: l’aumento del costo del denaro rende più oneroso, ad esempio, per le aziende, sottoscrivere prestiti per gli investimenti; per le famiglie, si registra un incremento nel costo dei mutui. Tutto questo crea un circolo vizioso, perché se l’economia si indebolisce e le famiglie diventano più povere, ne risentono anche le entrate dello Stato, che sarà ancora più in difficoltà a pagare il debito.

Ecco allora che, per tranquillizzare i mercati, il governo potrebbe decidere di attuare una “terapia d’urto”, riducendo il debito con un’iniezione di capitali derivanti proprio da una patrimoniale.

Siamo a questo punto? Secondo Cottarelli, non siamo ai livelli del 2011, quando lo spread sfondò il tetto dei 500 punti base e l’economia reale era in piena crisi. Un differenziale Btp-Bund a 300, secondo Cottarelli, lo si può reggere; tuttavia è innegabile che rappresenti un fattore di rischio.
Se, infatti, dovesse arrivare uno shock recessivo esterno anche modesto, come per esempio un rallentamento dell’economia europea, la crisi diventerebbe molto probabile, visti gli attuali livelli di debito pubblico – che la manovra non aiuta a ridurre – e di spread. L’Italia potrebbe andare in recessione, il debito ricomincerebbe a salire, e allora sarebbe difficile per il governo mantenere la promessa di non imporre una patrimoniale.

Come devono comportarsi i risparmiatori?

I dati economici del terzo trimestre 2018 non sono confortanti. Secondo le previsioni macroeconomiche della Commissione Europea, nella zona euro si è passati da una crescita del +2,4% del 2017 ad un +2,1% del 2018; per il 2019 si prevede un +1,9%, nel 2020 un +1,7%. Sembra, dunque, che l’economia europea stia rallentando. È lo shock esterno temuto da Cottarelli? In realtà è ancora presto per dirlo e le interpretazioni sono ancora discordanti.

Quel che è certo è che siamo in un quadro molto complesso, in cui le variabili da tenere in considerazione sono tante: lo spread, la crescita economica nazionale ed europea, la stabilità politica, le relazioni con l’Europa, le elezioni europee di primavera. Anche se la situazione emergenziale non dovesse portare all’applicazione di una patrimoniale, non si possono ignorare le indicazioni di Ocse e Fmi, che sono molto chiare: l’imposta sui patrimoni consentirebbe di rimodulare altre tasse, ad esempio il carico contributivo sui datori di lavoro, creando condizioni più favorevoli per lavoratori e imprese. Per quanto tempo sarà possibile ignorare questi suggerimenti?

In un contesto in costante evoluzione, cosa devono fare i risparmiatori? È difficile riuscire a leggere chiaramente i segnali e comportarsi in modo razionale. Per questo diventa ancora più importante il ruolo dell’intermediario che ha gli strumenti per interpretare analisi ed informazioni, indicare scelte razionali da compiere per tutelare e valorizzare i patrimoni.


1.  https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2018-10-12/risparmio–cresce-l-allarme-la-fuga-capitali-all-estero-215134.shtml?uuid=AElTp7LG; https://www.ilmessaggero.it/economia/news/spread_risparmi_manovra-4123228.html
2. 
https://www.repubblica.it/economia/2018/10/08/news/borsa_8_ottobre_2018-208457099/
3. 
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-04-12/ocse-italia-disuguaglianza-crescita-patrimoniale-riduce-161956.shtml?uuid=AEcvwJXE
4. 
https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2018/04/06/fiscal-monitor-april-2018#

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