A partire dall’elezione del presidente americano Donald Trump del novembre 2016, i listini azionari mondiali, quelli occidentali in particolar modo, hanno innescato una robusta crescita che ha condotto l’indice MSCI World ad apprezzarsi di oltre il 30% in poco più di dodici mesi. Solo di recente, ovvero solo a partire dallo scorso gennaio, i mercati stanno vivendo una fase di pausa, in attesa di nuovi catalizzatori che ne indirizzino i futuri andamenti.
Se le politiche economiche annunciate dal neo-presidente sono parse subito supportive per l’economia grazie alle misure fiscali particolarmente espansive, altrettanto non si può dire dei timori generati dalle dichiarazioni in tema di politica estera e di politica commerciale. La guerra verbale intrapresa nei confronti di molti trattati commerciali nonché la ferma intenzione di riscrivere le regole in termini di importazioni, esportazioni, quote di mercato, dazi e prezzi dei beni in entrata e in uscita dagli Stati Uniti sembravano a un certo punto poter condurre il mondo sull’orlo di una guerra commerciale che avrebbe di fatto atrofizzato il commercio internazionale e, di conseguenza, il trend di crescita economica.
Sul fronte geopolitico, poi, lo scontro tra le dichiarazioni e le azioni del dittatore nord coreano in termini di esibizione della propria potenza nucleare tutto lasciava presagire fuorché il colpo di scena dell’esistenza di una trattativa e di un probabile incontro tra i due capi di stato. Come nei migliori romanzi polizieschi, la soluzione appare sorprendente. Nonostante la titubanza evidente e il braccio di ferro tra Davide e Golia, sembra sempre più probabile che il prossimo 12 giugno si possa assistere a uno storico summit tra Trump e Kim Jong-Un, un evento il cui unico precedente paragonabile è quello di poche settimane fa in cui, in diretta planetaria, i presidenti delle due Coree si sono stretti la mano – una novità storica dopo la tragica divisione in due del paese alla fine della seconda guerra mondiale. Come è ragionevole attendersi, il cammino per una riappacificazione appare particolarmente lungo e certamente costellato di insidie e momenti di arresto ma la direzione probabilmente è stata tracciata. Un dialogo che abbia per oggetto la discussione sugli armamenti non può che costituire un enorme progresso in termini di pace mondiale.
Per quanto riguarda invece il fronte con la Cina, al di là della cortina di fumo sollevata via via dalle dichiarazioni impetuose del presidente americano, occorre puntualizzare che c’è senza alcun dubbio una sostanza di vero in quanto afferma Trump. Il presidente Usa adotta spesso una strategia di confronto basata sullo spiazzamento della platea, cui sovente segue un ridimensionamento delle richieste e delle concessioni. Ma come dicevamo, molte delle affermazioni di Trump in relazione alla Cina hanno un sostanzioso fondo di verità. L’impero cinese di oggi non è lo stesso paese che entrò nel WTO nel 2001. Allora Pechino era la capitale di uno stato del terzo mondo, con un PIL pari a un ottavo di quello statunitense, mentre oggi è pari al 60%. Il reddito pro-capite era allora pari a 1.000 dollari, contro gli 8.000 e passa di oggi. La Cina oggi è un altro mondo, ma ha mantenuto molti benefici e trattamenti di favore del passato. Le aziende occidentali che vogliono impiantare una propria fabbrica sul territorio cinese sono le benvenute, a patto che condividano la proprietà e il know-how con i soci cinesi. Quest’obbligo spiega la velocità esponenziale con cui l’impero celeste ha saputo costruire la propria ascesa economica mondiale. Al di là dei modi discutibili dunque, gli Stati Uniti stanno sostanzialmente intavolando con il colosso cinese una rumorosa trattativa che sfocerà nei prossimi mesi in nuovi accordi in termini di dazi e concessioni, nonché forse nuovi accordi che meglio rifletteranno i mutati equilibri economici mondiali.
Le prospettive per la crescita dell’economia mondiale dunque non solo sembra rimangano confermate, ma possono aprire nuovi spazi di sviluppo in mercati fino ad ora sacrificati dal macigno dei rischi geopolitici. Un nuovo disgelo verso quel che resta dei muri eretti dopo la fine della seconda guerra mondiale, e un riequilibrio delle regole sugli interscambi commerciali possono offrire ghiotte opportunità di investimento in aree sino ad ora ignorate o ancora protette o sottovalutate. Affidarsi dunque all’esperienza e al tempismo di gestori professionisti e attenti a valutare le dinamiche di rischio rendimento, soprattutto nel caso si affaccino sulla scena mondiale nuove aree di investimento, rappresenta sempre un approccio solido e scevro da valutazioni personali che potrebbero a posteriori rivelarsi superficiali.
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